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sabato 5 maggio 2018

L'ESIBIZIONISTICO BAROCCO PALERMITANO SECONDO GUIDO PIOVENE

Elementi architettonici barocchi nel palermitano.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono di Enzo Sellerio e furono pubblicate
dalla rivista "Sicilia" nel maggio del 1963

Nella recensione del saggio di Gioacchino Lanza Tomasi "Le ville di Palermo" ( edizioni "Il punto" ), nell'aprile del 1966 Guido Piovene tratteggiò con buona conoscenza storica della realtà locale i tratti distintivi del barocco palermitano.
Traendo spunto dalle considerazioni di Lanza Tomasi -  che contrapponevano questo periodo architettonico al normanno, quest'ultimo assai noto per monumenti che paiono  "distanti, riveriti, oggetti di indagine e restauro archeologico, avvolti in viluppi edilizi che più nulla hanno in comune con loro" - ville e chiese palermitane del XVI e XVII secolo sono per Piovene

"gli edifici caratteristici della nazione siciliana, specie dalla morte di Carlo V in poi, quando l'Isola si chiude in una vita propria che batte strade diverse da quelle europee"



Così, la visione artistica barocca della capitale del Regno corrisponde alla condizione sociale del tempo, nella quale

"le sue costruzioni hanno un unico scopo, quello di affermare il grado e i diritti della famiglia; recitazione di grandezza e di potenza anarchica condotta mediante i frontoni e i prospetti aulici sulle vie e sulle piazze"

Secondo Piovene, dunque, la città barocca è una realtà teatrale,

"un palcoscenico su cui ogni piccolo regno aristocratico recita la sua parte, costretto ad adeguarsi nelle sue costruzioni alla natura coreografica dell'insieme; quasi un trucco, fondato però su motivi reali, che sono appunto l'esistenza di feudi costretti ad ostentarsi di fronte al viceré.
La grandezza del palcoscenico, gli ampi rettifili, domandano un'adeguata teatralità nei cocchi, nei vestiti, nelle parrucche, nelle scorte dei servi.
Ma le ville extraurbane nascono nello stesso modo: da un rifiuto dei limiti ai diritti sovrani delle famiglie nobili che la debole corte dei viceré vorrebbe imporre.
Le famiglie si esiliano, ruminando i propri rancori, nei feudi di campagna dove la legge non arriva.
Lo stile delle costruzioni risente delle ragioni che le ispirano.
Non è infatti un barocco dinamico e strutturale; ma un coreografico-fiabesco, su un fondo manieristico che l'estro padronale e l'abilità artigiana coprono di bizzarri ornati"




L'analisi del barocco palermitano di Guido Piovene non mancò di sottolineare lo stato fatiscente di quell'edilizia negli anni in cui la città - in pieno "sacco" affaristico-mafioso - stava stravolgendo il proprio volto urbanistico.
Nel 1966, non più di una ventina di famiglie - eredi dell'aristocrazia decaduta - risiedevano ancora nei palazzi costruiti in età spagnola.



Il degrado di quell'architettura fu allora il segno del definitivo tramonto di una classe ancorata a logiche parassitarie, incapace di cogliere occasioni di rinnovamento economico e sociale in una Palermo divenuta nel frattempo la capitale burocratica - paludosa e clientelare - della Sicilia autonoma. 

"Se quasi tutte le ville del palermitano si vanno disfacendo nell'abbandono e nell'incuria - osservava a questo proposito Piovene - la Palermo barocca è stata devastata dai bombardamenti bellici; poco si è fatto dopo per recuperarla.
Nessun amore pubblico andò verso edifici che servivano a scopi diversi da quelli di oggi, difficili da utilizzare, eretti in obbedienza ad una legge puramente teatrale-estetica; perfino una gran parte dei vecchi proprietari si sentì liberata da un peso..."

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