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mercoledì 26 ottobre 2016

UN REPORTAGE AD USTICA NEGLI ANNI DEL FASCISMO

Gli accenni sulla presenza dei confinati politici e la vita quotidiana degli usticani in un racconto di Pino Fortini pubblicato da "Le Vie d'Italia" nell'aprile del 1927


Le "Case Vecchie", nella parte alta del paese di Ustica,
in una delle fotografie che nell'aprile del 1927
illustrarono un reportage su "Le Vie d'Italia"
 dello storico del mare Pino Fortini
Lo scorso luglio ReportageSicilia ha riproposto alcuni contenuti di un reportage pubblicato dal mensile del TCI "Le Vie d'Italia" nel luglio 1955, a firma di Flavio Colutta http://reportagesicilia.blogspot.it/2016/07/un-ritratto-di-vita-usticese-nel-1955.html.
All'isola palermitana lo stesso periodico dedicò un primo articolo nell'aprile del 1927, questa volta del saggista e storico del mare Pino Fortini.
Fortini - cui è stata intestata negli anni passati la Biblioteca Comunale di Isola delle Femmine, ricca dei suoi volumi - giunse ad Ustica in un giorno di estate, forse nell'anno precedente alla pubblicazione dell'articolo.


Il piroscafo "Ustica", uno dei tre vapori
di 200 tonnellate di stazza utilizzati negli anni Venti
per i collegamenti fra Palermo, Ustica, Pantelleria e le Pelagie
La notazione temporale è importante per comprendere anzitutto il riferimento ed il senso di alcune considerazioni riguardanti la presenza nell'isola di una trentina di detenuti politici, lì confinati in quegli anni dal fascismo: fra gli altri, Rosselli, Parri, Romita, Bencivegna, Tucci, Bordiga, Silvestri, Bacchetti, Maffi, Ciccotti, Bibi e, naturalmente, Antonio Gramsci.




Due vedute dell'edilizia usticana
riprese dalla Cala di Santa Maria

Proprio il segretario del Partito Comunista d'Italia sarebbe sbarcato ad Ustica pochi mesi dopo la visita di Pino Fortini, trascorrendovi - sino al 20 gennaio del 1927 - 44 giorni.
La prosa di Fortini mostra così si allinearsi a quella segregazione politica voluta dal regime:  

"Quando Ustica, è talvolta, separata dal mondo magari per un'intera settimana e quando le onde del canale sono spesso inclementi, i viaggiatori sono quasi soltanto costituiti dal triste carico dei coatti e dalle loro scorte...
Ecco, intorno a noi, rumorosi gruppi di gente scamiciata che calza ciabatte, veste panni di color marrone rigati di azzurro, ed adopera i più svariati dialetti italiani.
Ustica è sede di una numerosa - fin troppo numerosa - colonia di coatti, molti dei quali si prestano, per poco prezzo, ad umili e faticosi lavori.
Colonia avversata, da gran parte della popolazione, per alte e valide ragioni di ordine morale, ma ritenuta da qualcuno, a quanto mi si dice, un male utile perché adibita a lavori cui ormai più non si presterebbero i nativi del luogo"


Un ritratto collettivo di usticani
fra la spiaggia e il belvedere di Cala Santa Maria
Difesa a parte dell'oppressione politica, il reportage di Fortini è comunque ricco di osservazioni che raccontano molti altri aspetti della realtà usticana del tempo.
Anzitutto quello dei collegamenti dell'isola con Palermo.
Emerge qui la passione del cronista per la navigazione navale:

"Il postale, uno dei tre piccoli piroscafi sulle 200 tonnellate che, alternandosi, collegano Ustica e Pantelleria e le perdute Pelagie, manovra rapidamente, colla sveltezza della lunga consuetudine, per uscire dal porto.
Uno, due mugghii! e non appena in franchia segue la costa popolata di case finchè, poco dopo oltrepassata la bianca torre dell'Arenella, mette la prua al largo con rotta 'Nord una quarta a Nord-Ovest'.
La seguirà fedelmente al placido trotto dei suoi dieci nodi all'ora, e vedrà, dopo qualche ora di mare, salire, gradatamente, su un monotono sfondo nero di lave e di rupi vulcaniche, vivaci toni gialli di stoppie e di sterpaie, e lo squillante verde dei campi di un altipiano; finchè, dopo 37 miglia, rullerà lievemente, trattenuto dalle sue ancore, davanti ad un severo paesetto"


Ancora una veduta di Cala Santa Maria
dallo sperone roccioso nei pressi del fortilizio del secolo XVIII
costruito a difesa dalle incursioni barbaresche
Lo sbarco del giornalista offre l'occasione di sottolineare la precarietà dell'attracco usticano di allora:

"Un pontiletto di legno, raso sull'acqua e formato di assi squadrate alla brava, dovrebbe facilitarmi il contatto con la terra: ma mi bagno lo stesso perchè esso è quasi sempre inondato dalla risacca.
Chè la Cala è assolutamente indifesa; un moletto in corso di costruzione fu, anzi, pochi anni or sono, spazzato via da una tempesta"

Il racconto di Fortini abbonda quindi di notazioni sulle vicende dell'isola e sull'evoluzione degli insediamenti umani. 
Si parte ovviamente all'identità archeologica più remota; quella narrata dagli storici dell'antichità e riferita alla tragica sorte di 6.000 mercenari cartaginesi che ad Ustica morirono di inedia dopo esservi stati deportati a seguito di un fallito tentativo di rivolta:

"Ed a proposito di fenici, non ci è dato anche forse di congetturare, in base ad un passo di Tucidide, che essi siano stati i primissimi abitatori di Ustica?
E non fu addotta a sostegno di tale ipotesi la scoperta, fatta dai primi coloni dell'isola ( 1762 ), di una camera sepolcrale giudicata di indubbio carattere fenicio, posta alle falde della Falconiera, camera di cui oggi non c'è più traccia?
Ma ai fenici seguirono indubbiamente i romani, come risulta da mosaici, piatti, utensili domestici, monete trovate nell'isola nonché da qualche iscrizione...
... Il Fazello, scrivendo verso al metà del secolo XVI, aveva già notato che Ustica in effetto era 'omnino deserta' e comodo punto di appoggio dei pirati barbareschi.


Il "Piano di Tramontana",
diviso nei rettangoli delle diverse coltivazioni agricole
Ma il 14 marzo 1761 veniva proclamato il seguente bando del vicerè Fogliani:
'Intento sempre il Re Nostro Signore ad aumentare il commercio sì interno che esterno di questo suo regno di Sicilia, dopo avere considerato quanto pericolosa resa siasi la navigazione del mare che tra questo Regno sudetto e quello di Napoli si media a causa della quantità dei legni corsari barbareschi, che di continuo l'infestano per il sicuro ricovero che trovano ad Ustica ha risolto di popolar la predetta isola con naturali di questo Regno.
Già di fatti l'ingegnere Valenzuola, appositamente inviato, nel 1759, nell'isola ne aveva rilevato la pianta ed esaminato i luoghi più adatti per disporvi le fortificazioni.
Ma non appena - si può dire - avuta notizia del bando, una sessantina di abitanti di Lipari, nelle Eolie, si recavano ad occupare Ustica.
Le prime abitazioni furono costruite in quella che è attualmente la parte più alta del paese, denominata appunto 'Case Vecchie', e dove si trova anche ingente numero di giganteschi massi ovoidali di lava basaltica, evidentemente rigettati dai sovrastanti crateri.
Ora, in quel gruppo di casette nere, ormai soltanto adibite a pagliaio, tagliate da viuzze e tutte raccolte intorno ad una rustica cappella, anche essa non più adibita al culto, si svolse in una chiara notte del 1762, mentre - secondo una tradizione locale inedita - si festeggiava uno sposalizio, una terribile strage.
Chè i barbareschi, già respinti una volta, trovarono l'occasione propizia per prendere la rivincita, misero tutto a sacco e trassero in schiavitù i superstiti.
Il governo fece allora compiere subito le fortificazioni, cosicchè l'isola, qualche anno dopo, si ripopolò stabilmente sempre traendo il fondo della sua popolazione dalle Eolie, come lo dimostrano anche le particolarità del dialetto usticano che sono naturali alla parlata di quelle isole" 


Ancora una veduta del "Piano di Tramontana"
dal piazzale del Semaforo

Quindi il reportage analizza la vita di pescatori e contadini raccolti intorno alla piccola Cala di Santa Maria, luogo che Pino Fortini definisce "di un intensissimo azzurro".
Segue una documentata descrizione delle caratteristiche agricole dell'isola:

"Rari pescatori, una quarantina circa, su poche e piccole barche, sfruttano incompiutamente le acque che circondano Ustica; mentre loro confratelli della costa sicula vengono saltuariamente a supplire la deficiente iniziativa locale e catturare mediante il paziente e pesante lavoro dei tremagli ( quasi non adoperati nell'isola ) copia di triglie; frugano i recessi degli scogli con la fiocina; adoperano - avversati - la lampara; ricavandone anche, come due 'sacoleva' greci tornati per la prima volta quest'anno, un buon raccolto di spugne sulla vicina secca della Colombaia...
... A cavalcioni di un rustico basto, le gambe penzoloni, mi avvio, in compagnia di gentili amici, al semaforo, posto sulla cima Guardia di Mezzo, a 230 metri.
E su, dunque, per un ripidissimo sentiero che si snoda sul fianco della collina, incassato a volta fra rocce, strapiombante, assai più spesso, nel vuoto.
A tratti mi appare la grande fantasmagorìa della pianura, detta 'di tramontana', divisa, come uno scacchiere, in campi bel coltivati coi laghi d'oro delle stoppie, il picchettìo giallo dei 'melloni' fra il verde delle fronde e lo sfondo cupo della terra nerastra, il verde vivo dei pampini delle vigne e le numerose casette coloniche ( tutte d'un tipo che danno su un rustico loggiato sorretto da colonne ) nelle quali, d'estate, vanno a rifugiarsi gli abitanti dell'isola...
... La rivelazione è costituita, per me, dalla fertilità del suolo, affatto insospettata dal luogo usuale di approdo.


Il bianco faro di Ustica
e il contrasto con la tonalità scura
della roccia vulcanica
La produttività dell'isola, quando essa fu ripopolata, nel 1762, si manifestò addirittura straordinaria per il lungo riposo della terra.
'Il piano è fertilissimo - aveva affermato anni prima ( 1759 ) l'ufficiale borbonico siracusano Andrea Pigonati - abbenchè in oggi imboschito nulla meno del monte e pieno di oleastri'.
E, secondo il Russo, i primi arrivati disboscarono subito 'una certa porzione di terra, ove vi seminarono frumento ed altri legumi e ne videro con meraviglia il raccolto, facendo salme due e tumoli quattro di frumento ogni tumolo di terra'
Prodigiosa fertilità della quale il geologo francese Deodat De Dolomieu, nel 1781, dà le ragioni:
'le terre végétative est une argille rouge-noiratre', formata da ceneri e dall'alterazione delle lave, trachitiche in genere, che decompostesi sotto l'azione degli agenti atmosferici, davano ai campi gli elementi più essenziali di quella fertilità che il suolo dell'isola conserva anche oggi, benchè assai diminuito.
Il Dolomieu ritenne anche, non so con quanto fondamento, l'isola adatta alla coltivazione del cotone.
In effetto, essa produce grano e frutta e legumi, fra cui fave di qualità assai rinomata che si esportano con qualche larghezza, ed altro ancora.
Ma niente agrumi; ogni proprietario tiene qualche alberetto di limoni soltanto per uso proprio, chè scarseggia l'acqua per irrigarli.
Mancano difatti - lo ripeto - le sorgenti e quasi ogni casa è fornita di cisterne.
Esistono anche delle cisterne comunali ed una, dalla capacità di 96.000 ettolitri, è stata costruita dal governo.
Nelle campagne, alcune cavità del suolo servono a raccogliere l'acqua piovana e ad abbeverare il bestiame..." 



All'interno della chiesa madre, Fortini notò il pavimento ricostruito in marmo nel 1886 grazie a quella che un'iscrizione descriveva come la "pietà degli isolani abitanti in America e in Patria".
E' l'occasione per ricordare la difficile emigrazione sofferta da Ustica, da isola piccola ad un'isola più grande e dal mar Mediterraneo verso l'Atlantico:

"Già verso il 1850 l'aumento della popolazione, troppo rapido rispetto alle risorse dell'isola, aveva indotto un nucleo di disperati a cercare di stabilirsi in Sardegna.
E ne furono impediti dal governo borbonico.
Ma poco dopo più vasto orizzonte offriva, agli usticani, New Orleans, negli Stati Uniti, ove, nel 1854, cominciarono ad emigrare le prime famiglie".



In quella stessa chiesa che celebrava la generosità degli immigrati lontani dall'isola, Fortini notò infine anche una lapide dedicata al ricordo dei due fratelli Di Bartolo.
In uno sforzo di memoria, lo storico del mare identifica il padre in Vincenzo Di Bartolo, già allora dimenticato pioniere della navigazione siciliana nel mondo ( ed a cui Salvatore Mazzarella nel 1987 ha dedicato per Sellerio il saggio "Vincenzo Di Bartolo da Ustica" ): 

"Scandisco lentamente questo cognome in uno sforzo di memoria.
Ma sì - nota Fortini - il padre, Vincenzo, non è forse quell'audace marinaio che, nei giorni, come dicono gli inglesi più di noi memori delle loro glorie marinare - 'Of Wooden ships and iron men' - mise alla vela da Palermo il 28 ottobre 1838 col brigantino 'Elisa', piccolo scafo equipaggiato da 15 marinai e, primo fra i siciliani e fra gli italiani, diede fondo a Sumatra, dopo avere toccato Boston, nel luglio 1839, per iniziarvi il traffico delle spezie?
E non concesse a lui Ferdinando II, ambito ma unico compenso, la nomina di 'alfiere di vascello in soprannumero' nella Real Marina.
Ne chiedo al mio cortese accompagnatore; altri, forse, nell'isola ricorderà; ma egli non rammenta affatto.
E da questa smemoratezza mi sembra d'un tratto illuminata la decadenza della navigazione e delle industrie pescherecce nell'isola"












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