Translate

venerdì 6 novembre 2015

IDENTITA' E ORGOGLIO DI CASTELBUONO NELLE PAGINE DI FRANCINE PROSE

Reportage tratto dal libro "Odissea Siciliana" di una visita della giornalista di New York  fra i monumenti e gli abitanti del paese delle Madonie

Uomini di Castelbuono
seduti in piazza Margherita.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia


Fra i libri dedicati negli ultimi 15 anni alla Sicilia, il più ricco di  piacevoli e non scontate notazioni sull'isola è forse quello della scrittrice americana Francine Prose ( New York, 1947 ).
In "Odissea Siciliana" ( pubblicato nel 2003 negli Stati Uniti con il titolo "Sicilian Odyssey" ed edito in Italia nel 2004 da Feltrinelli ), la Prose consegna ai lettori alcune illuminanti considerazioni sulla Sicilia.
La prima ricorda un più famoso concetto espresso oltre due secoli fa da Goethe:

"L'intera storia d'Italia - e gran parte di quella europea - sembra concentrarsi in questa terra singolare e affascinante"




Una seconda, dimostra il profondo livello di comprensione del carattere dell'isola e dei suoi abitanti, e del modo di trarne i migliori frutti: 

"E' facile essere felici in Sicilia, ma è un'operazione che richiede un adattamento biologico oltre che culturale: bisogna imparare a vivere il tempo alla maniera siciliana"

Una terza considerazione invece  avverte che accanto alle "incantevoli scoperte", la Sicilia  offre ai visitatori i luoghi di un incancellabile degrado paesaggistico e sociale:

"Ci sono zone dell'isola - le squallide periferie di Palermo e Catania, i superinquinati centri petroliferi di Gela e Porto Empedocle, - che bisognerebbe attraversare in fretta, a occhi e naso chiusi, anche se basta un attimo per rimanere colpiti dalle esalazioni tossiche e dalla vista dei desolanti casermoni dei quartieri dormitorio" 




"Odissea Siciliana" ripropone ai lettori alcuni luoghi classici del tour isolano ( l'anfiteatro greco di Siracusa, il barocco di Noto, Erice e la solitudine delle sue strade, i monumenti di Palermo ).
Il tono della descrizione evita accuratamente l'erudizione, e fa scoprire eventi e luoghi di non ordinaria narrazione tra le molte opere dedicate alla Sicilia.
Uno di questi è il paese di Castelbuono, sulle Madonie.



Ciò che colpisce la Prose è l'intima relazione fra le opere d'arte e di architettura e la comunità locale che le ha generate nei secoli passati:

"Finalmente arriviamo al paesino di Castelbuono,  ed è quasi ora di pranzo.
Parcheggiamo l'auto e ci ritroviamo circondati dal piacevole suono delle voci dei cittadini riuniti in piazza a discutere e a chiacchierare.
Non si odono i fastidiosi rumori di automobili, di clacson o, peggio, ancora, di 'motorini', ai quali siamo abituati.
Ci fermiamo un attimo ad ascoltare.
La gente ha notato il nostro arrivo, ma continua a conversare, come se niente potesse turbare la loro e nostra privacy.
Entriamo in un bar a prendere un caffè e il proprietario della pasticceria, che era intento a chiacchierare con gli amici in piazza, ci invita a provare una fetta del delizioso panettone che sta distribuendo ai compaesani.


C'infiliamo nel museo civico, e il direttore ci mostra orgogliosamente le due sale che lo compongono, piene di antichi paramenti sacri ricamati, drappeggi ornati di coralli e costumi d'epoca donati alla città dalla famiglia Ventimiglia, l'influente dinastia che nel quattordicesimo secolo sostenne gli spagnoli nella lotta contro gli angioini.
Quando andiamo via, ci invita a non lasciare la città senza avere prima visitato il castello e la chiesa Matrice Vecchia, dall'altro lato della piazza.
E' un'esperienza che si ripeterà, in modo più o meno simile, in tutta l'isola.
Specialmente nei paesi più piccoli, nei centri meno frequentati dai turisti, basta chiedere un'informazione su un edificio, un dipinto, un sito archeologico o un aneddoto storico, e la persona che avete interpellato vi risponderà con un ampio sorriso e si dilungherà in animate spiegazioni.
Le persone sembrano liete di raccontarvi la storia del loro paese, una storia alla quale si sentono intimamente legati.
Dev'essere uno degli aspetti più interessanti del vivere in un posto dove tutti si conoscono, dove la vostra famiglia conosce tutte le altre da generazioni.



La mancanza di privacy, di libertà e di mobilità economica, che può diventare talvolta soffocante, è compensata da questo senso di appartenenza a una comunità, alla storia, dall'orgoglio e dalla consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande, di ininterrotto, di qualche cosa che è incominciato secoli prima di voi e continuerà anche dopo la vostra morte.
In chiesa, una giovane donna ci mostra molto cortesemente il magnifico polittico del diciassettesimo secolo che rappresenta l'incoronazione della Vergine, le colonne e i pilastri decorati con gli affreschi dei santi e le figure sacre di cera, poste all'interno di nicchie, sulle pareti.
Quando ci chiede se vogliamo visitare la cripta, accettiamo l'invito, più per educazione che per vero interesse, immaginando lugubri file di sarcofaghi contenenti le spoglie dei notabili locali, o labirinti di corridoi freddi e umidi fiancheggiati da sepolcri profanati.
Ma quando la nostra accompagnatrice accende la luce nei sotterranei, scopriamo con piacere che i muri sono completamente ricoperti di affreschi del quindicesimo secolo con scene tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento.
Gli affreschi esprimono chiaramente il profondo senso religioso di un gruppo di artisti locali e il loro desiderio di assegnare un ruolo spirituale a questo spazio sotterraneo, di trasformarlo da tempio pagano qual era, e di cui resta ancora un altare come testimonianza, in un santuario della cristianità.



Trovare nella modesta chiesa di un paesino di montagna un tale tesoro è indice della grandezza del patrimonio artistico.
Mentre andiamo via, la donna ci ricorda ancora una volta di visitare il castello, dove, a quanto pare, c'è una straordinaria cappella decorata da Giacomo Serpotta.
La cappella del castello si rivela più interessante di quanto immaginassimo.
E' più intima, più allegra e, per qualche verso, più ridondante - fittamente adornata di statue - delle opere di Serpotta esposte a Palermo, gli oratori di San Lorenzo e San Domenico.
Un guardiano ci informa che questo è il luogo dove la famiglia Ventimiglia si raccoglieva in preghiera... e poi ci raccomanda di visitare l'altra grande chiesa della città, la Matrice Nuova, dove sono ospitate le tombe dei Ventimiglia.
C'è anche un altro museo, ci dice, vicino alla Matrice Nuova: il Museo di storia naturale Francesco Minà-Palumbo, pieno di disegni e di reperti botanici raccolti da un medico locale appassionato della flora e della fauna delle Madonie.
Purtroppo, mentre ci accingiamo a visitare chiesa e museo, la città si svuota, come accade spesso all'ora di pranzo, specialmente il sabato.
Tutti i negozi e i musei sono chiusi, e così ci ripromettiamo di tornare per visitare i tesori che ci restano da vedere in questo incredibile paesino sperduto tra i monti delle Madonie..." 



Nessun commento:

Posta un commento