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giovedì 8 ottobre 2015

ELOGIO DELLE MODICANE

La presenza nel paesaggio e nella cultura contadina iblea di una razza di mucca spesso ricordata nella saggistica dedicata alla Sicilia


Mucche della razza Modicana a Palazzolo ( 1986 ).
Le fotografie del post sono di Giuseppe Leone
e sono tratte dal saggio "il Ragusano,
storie e paesaggi dell'arte casearia",

edito nel 1999 da Federico Motta Editore

"Sembra che tirando una linea tra Avola e Gela si abbia, dalla parte del mare, una terra anche geologicamente diversa, terra sassosa, in cui le valli diventano precipizi.
I muriccioli a secco, simili a un geroglifico, rigano la campagna, per dividere la proprietà o una cultura dall'altra.
Intorno a Modica, graziosa città col suo bel San Giorgio barocco, si scorgono superstiti proprietà signorili, case colore dell'argilla o del sasso isolate tra ciuffi di palme nella campagna.
Qui si coltiva il mandorlo, che produce una qualità speciale di frutti detti pizzuti, ottimi per i confetti; e qui ebbe origine la razza di buoi da fatica, alti, color del rame, chiamata modicana, caratteristici in Sicilia come i buoi bianchi nell'Umbria"

Così Guido Piovene nel suo celebre "Viaggio in Italia" ( Mondadori, 1957 ) rese omaggio alla mucca Modicana: un animale che ancor oggi connota con la sua presenza il paesaggio e la stessa cultura rurale della provincia ragusana.


Ritorno dalla fiera,
San Giacomo ( 1980 ),
fotografia di Giuseppe Leone,
opera citata

Prima di Piovene, altri autori avevano elogiato le qualità di questa mucca, diffusasi soprattutto nel territorio di Modica alla fine del secolo XIX, in coincidenza con la progressiva scomparsa della coltura del frumento.
Nel 1808, l'abate Paolo Balsamo nel suo "Giornale del viaggio fatto in Sicilia e particolarmente nella Contea di Modica" sottolineò "la bontà dei bestiami di Modica"; nel 1877, il barone pisano Sidney Sonnino in "Contadini di Sicilia" ricordò la "bella specie bovina conosciuta come razza Modicana".  


Modicane, San Giacomo ( 1982 )
fotografia di Giuseppe Leone,
opera citata

In passato, l'allevamento delle mucche Modicane ha rappresentato per la provincia iblea un esempio prezioso di antica cultura contadina, capace di trovare soluzioni alla gestione quotidiana di un mondo non ancora regolato dall'utilizzo delle tecnologie meccaniche o digitali.

"Più studiamo il mondo rurale del passato, più ne restiamo affascinati - ha scritto lo studioso e docente universitario catanese Giuseppe Licitra in "il Ragusano, storie e paesaggi dell'arte casearia" ( Federico Motta Editore, 1999 ), opera da cui ReportageSicilia ripropone alcune straordinarie immagini del fotografo Giuseppe Leone  - proprio perché riscopriamo, oltre che l'infinità di sacrifici affrontati dai contadini, in silenzio, giorno dopo giorno, l'incredibile competenza tecnica che ha permesso di affrontare problematiche anche più grandi di loro, con assoluta serenità, basandosi sull'esperienza fatta di piccoli gesti maturati in decenni, a volte in secoli di tradizioni..."

Spiega quindi Giuseppe Licitra, con un racconto che sorprende chi concepisce il lavoro oggi come la digitazione sulla tastiera di un computer:

"In media le 15-20 vacche della classica masseria iblea consentivano il nascere di un'intensa e diretta interazione tra il massaro e la singola vacca.
A ogni vacca, dopo il primo parto, veniva assegnato un nome e un posto in stalla; era cura del massaro legarle, mattina e sera, ognuna al proprio posto.


Modicane in contrada Castiglione ( 1956 ).
Fotografia di Giuseppe Leone, opera citata

Così come le operazioni di mungitura spesso con il vitello, prevedevano il blocco degli arti posteriori e delle coda con delle corte, 'nngarrunati', per motivi igienici e per evitare che la vacca, infastidendosi per qualsiasi motivo, rovesciasse il secchio del latte.
In sintesi, l'allevatore in tutte queste occasioni di contatto diretto chiamava la vacca per nome sia per imporre un ordine e anche per avvisarla ci ciò che si accingeva a effettuare.
L'animale non solo ubbidiva, ma riconosceva perfettamente anche l'umore del massaro manifestando lo stato di stress sia durante la mungitura sia nelle diverse occasioni di contatto.
Il massaro sceglieva la vacca 'leader', in realtà quella che tra tutte si era dimostrata tale, e le affidava un collare con la 'campana dominante'.
A più vacche venivano assegnate delle campane di qualità e dimensioni diverse, capaci di emettere suoni particolari accuratamente scelti dai massari più attenti.


Il rientro in stalla
nella masseria Musso a San Giacomo (1982 ).
Fotografia di Giuseppe Leone, opera citata

Gli anziani raccontano che dall'armonia dei suoni degli animali al pascolo il massaro riusciva a percepire il loro stato di benessere.
Era la vacca 'leader' a fare da guida, sia quando venivano mandate al pascolo sia al rientro.
Il massaro, per riportare le vacche in stalla dopo il pascolo, se le chiuse erano molto lontane andava a cavallo, ma quando così non era, poteva permettersi di gridare, sopra il muro a secco più in vista, nella direzione del pascolo, il nome della vacca dominante per far sì che questa si rimettesse in cammino verso il rientro, seguita in fila indiana da tutte le altre..."





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