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domenica 28 dicembre 2014

RITRATTO VENETO DEL BOSS PIETRO TORRETTA



Dalla borgata Uditore al soggiorno obbligato a Cittadella, nel padovano: nelle fotografie pubblicate nel 1970 dalla "Domenica del Corriere", la parabola criminale  del boss palermitano Pietro Torretta


Il boss palermitano dell'Uditore Pietro Torretta
a passeggio con una figlia a Cittadella, nel padovano.
La cittadina veneta ospitò il suo soggiorno obbligato
a partire dal maggio del 1970.
Il reportage fotografico riproposto da ReportageSicilia
venne pubblicato il 2 giugno
dal settimanale "Domenica del Corriere".
Le immagini furono realizzate da Gillo Faedi
ed accompagnarono un articolo di Cesare Marchi



L'uomo con gli occhiali scuri, il vestito color fumo di Londra ed il cappello color crema che passeggia in strada insieme ad una figlia è un boss palermitano assai noto alle vecchie cronache di mafia.
Gli archivi giudiziari che lo riguardano ne citano il nome addirittura per un'indagine che nel 1948 riguardò il rapimento del possidente Giuseppe Gulì da parte della banda Giuliano.
All'epoca dei primi quattro  scatti riproposti nel post da ReportageSicilia - nel maggio del 1970Pietro Torretta aveva 58 anni ed era conosciuto come il capo della cosca della borgata Uditore.
Nel rapporto di polizia giudiziaria scritto dal tenente dei Carabinieri Mario Malausa nel marzo del 1963 - tre mesi prima della strage di Ciaculli, in cui l'ufficiale perse la vita - si riassume così l'ascesa di Torretta ai vertici della mafia palermitana:

"Notoriamente affiliato alla mafia, la quale lo impose quale amministratore dei fondi del marchese De Gregorio, ha raggiunto una florida posizione economica ed è diventato un uomo di massimo rispetto"
 
Nelle immagini di Gillo Faedi pubblicate sulla "Domenica del Corriere" del 2 giugno 1970, Torretta viene ritratto nei primi giorni di libertà vigilata a Cittadella, ordinata e tranquilla cittadina in provincia di Padova.
Il reportage - firmato dal giornalista Cesare Marchi ed intitolato "El sior mafioso" - riferiva le vicende criminali di Pietro Torretta, alcune dichiarazioni rese dal boss al cronista e le reazioni di alcuni abitanti di Cittadella dopo l'arrivo del secondo ospite "giudiziario" siciliano. 
Da qualche mese infatti, il paese era sede del soggiorno obbligato di Giuseppe Palmeri, boss di Santa Ninfa: una misura di sorveglianza che non gli impediva di guidare dal Veneto un imponente traffico di eroina fra Medio Oriente, Francia e Stati Uniti con la complicità di Leonardo Crimi, altro capomafia trapanese al soggiorno obbligato a Conegliano, nel trevigiano.   


Prima di mettere piede a Cittadella - il 15 maggioPietro Torretta aveva trascorso un lungo periodo di detenzione nel carcere di Cosenza.
Il carcere era stato la conseguenza di una condanna in I grado a 27 anni per un duplice omicidio compiuto sette anni prima nel salotto del suo appartamento dell'Uditore, al civico 6 di via Antonio Lo Monaco Ciaccio.
Grazie ad un decreto legge che in quel periodo aveva posto un limite di quattro anni alla custodia preventiva nella fase del giudizio, Torretta - dopo avere pagato una cauzione di cinque milioni di lire - era riuscito ad ottenere la libertà vigilata lontano dalla Sicilia.


L'episodio - uno dei tanti della cruenta guerra fra i clan Greco e La Barbera per il controllo delle attività edilizie in città - monopolizzò le cronache giornalistiche palermitane per giorni: il 19 giugno 1963 Giacomo Conigliaro e Pietro Garofalo, sicari del clan Greco di Ciaculli, tentarono di uccidere Pietro Torretta.
La reazione del capomafia dell'Uditore, ufficialmente un semplice produttore e venditore di agrumi, fu però implacabile.
Nel conflitto a fuoco, Conigliaro e Garofalo persero la vita mentre Torretta fu colpito alla rotula destra: di quella ferita avrebbe portato in seguito il segno nella camminata claudicante.
In seguito, il boss dell'Uditore - il cui nome apriva una lista di 54 mafiosi palermitani redatta dal giudice Cesare Terranova - si sarebbe dato alla latitanza.


I Carabinieri lo avrebbero arrestato la notte del 9 febbraio del 1964 in una modesta palazzina di via Monsignor Serio 9, a due passi dalla sua abitazione, ospite di un operaio: sotto al suo letto, vennero trovate decine fra pistole e fucili - alcune detenute con tanto di porto d'armi - e alcune richieste di assunzione già compilate all'ufficio personale della Nettezza Urbana di Palermo.
Nel suo reportage, Cesare Marchi inserì queste considerazioni consegnategli da Torretta a passeggio sotto i portici e nei pressi della locanda "Roma", alloggio del boss:

"Scriva sul giornale che io sono innocente e spero molto nel processo di appello.
La prego di leggere i fascicoli del processo e del ricorso in appello per la vicenda dei due cadaveri trovati a casa mia e sui convincerà che ho ragione.
Per il resto, ci pensi Iddio, quello che deciderà lui per me è sempre ben fatto.
Qui sono gentilissimi, gente ammodo, l'aria sana, mi piacerebbe portare su tutta la famiglia, tengo altri tre figli e la moglie a Palermo, ma occorrono molti soldi, hanno detto che sono ricco, no, signore mio, io non sono facoltoso.
Sono un agricoltore. Limoni, aranci, olivi. Ho pensato solo alla famiglia. Mai un divertimento, mai un caffè.
Non conosco la mafia, non so cosa significhi, parola mia..."

Pietro Torretta poche ore dopo l'arresto
avvenuto a Palermo nel febbraio del 1964.
Il boss dell'Uditore è ricordato come uno dei protagonisti
delle sanguinose faide tra clan per il controllo
dell'edilizia nella Palermo degli anni Sessanta.
La fotografia è tratta dal saggio di Giuseppe Fava
"I Siciliani", edito da Cappelli editore nel 1980

A Cittadella, la parabola criminale di Pietro Torretta volgeva già al termine.
A differenza di Giuseppe Palmeri e di tanti altri boss siciliani all'epoca al soggiorno obbligato lontano dalla Sicilia, sembra che Torretta abbia condotto in Veneto vita tranquilla, lontano dagli affari dei clan.
Il mafioso accusato di avere avuto in passato un ruolo da protagonista nella sanguinosa stagione palermitana delle Giuliette imbottite di tritolo e nell'uccisione di decine di persone, trasferì presto il soggiorno obbligato a Massa Lombarda.
Già sofferente di diabete, Torretta morì per un blocco renale nel luglio del 1975.
Un nipote, Francesco Bonura, nei decenni seguenti avrebbe occupato le cronache palermitane di quegli intrecci fra mafia ed imprenditoria edile che hanno stravolto il volto urbano della città: una coltre di cemento che ha cambiato anche il volto del quartiere Uditore, cancellando gli agrumeti di "don Pietro" e con essi il ricordo del suo ruolo di potente capomafia nella Palermo degli anni Sessanta. 








    

  

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