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mercoledì 22 ottobre 2014

QUANDO LA SICILIA FU L'AMERICA DEI GRECI


Le origini dell'eccitato gusto isolano per il kolossal e per l'eccesso secondo il poeta messinese Bartolo Cattafi 
 
Una delle gigantesche figure che reggevano
insieme alle colonne la pesante trabeazione
del tempio agrigentino di Giove Olimpo,
inferiore per dimensioni solo al colossale
tempio di Diana ad Efeso.
La fotografia porta la firma di Ezio Quiresi
e venne pubblicata nell'opera "Sicilia"  edita nel 1960 dal TCI

Che la Sicilia sia la terra dell'eccesso è un dato ormai spiegato ed esaminato in parecchi aspetti delle vicende e del costume dell'isola.
Per spiegare le origini dell'iperbole siciliana, basti pensare alla notorietà e all'attrazione di cui gode in gran parte del mondo una regione mediterranea abitata da appena cinque milioni di abitanti: storia, clima, bellezze naturali, beni monumentali, gastronomia, letteratura, gestione del potere politico e mafia offrono infinita materia di discussione sul meraviglioso e sull'orrido delle risorse siciliane. 
Nel 1961, andando parecchio a ritroso nei secoli, il poeta messinese Bartolo Cattafi individuava nel periodo della Sicilia greca i germi dell'iperbole siciliana: una tara che nel corso dei millenni ha segnato molte espressioni della vita dell'isola.

"Le avventurose navigazioni micenee verso le coste della Trinacria, la 'terra dei tre capi', e oltre lo Stretto di Messina, insieme con i relativi resoconti, dovettero accendere la fantasia dei Greci e rimanere a lungo impresse nella loro memoria.
Ne è riprova il posto che la Sicilia occupa nei versi dell'Odissea; Scilla e Cariddi paurosamente incarnano i pericoli dello Stretto, l'Eolia è la patria dei venti. 
Ci giunge attraverso Omero un'immagine favolosa della Sicilia.
Agli occhi dei primi navigatori greci essa appare vasta e arcana come un nuovo continente, ricca di fascino e di risorse vergini: quasi una America avanti lettera.
E forse questo parallelo con l'America, ovviamente condizionato da molte restrizioni, non è fuori luogo; qualche volta si presenta opportuno, nello svolgersi della storia siciliana.
Quando, per esempio, Atene interviene in Sicilia, mentre tutta l'isola è preda d'una guerra fratricida, con due spedizioni navali che sortiscono l'effetto di rendere concreto il pericolo proveniente dall'Attica e di promuovere il congresso di Gela ( 424 ).


Una veduta dei templi E, F e G
dell'area archeologica di Selinunte,
altro esempio del gusto del kolossal
dell'arte greca in Sicilia.
L'immagine venne pubblicata nel volume "Sicilia"
edito nel 1933 dal TCI

Stipulata una pace generale, venne affermato il principio dell'indipendenza dei Greci di Sicilia che nella comune denominazione di Sicilioti cancellarono le differenze di stirpe e si unirono in una nuova nazionalità.
Non troppo dissimili appaiono le origini degli Stati Uniti.
Del resto, questo ruolo in qualche modo "americano" la Sicilia lo sostenne per un certo tempo sia in stretto confronto con la stessa Atene, sia con tutto l'ambiente mediterraneo.
La potenza, lo splendore, la ricchezza di Siracusa straripavano; Siracusa era un pò la 'Novaiorca' ( così i siciliani chiamo New York ) dell'epoca.
La sua flotta di vere e proprie navi da guerra aveva preso da tempo, faustamente, il mare, quando Atene cominciava appena a mettere in cantiere la propria.


Una prospettiva della valle dei Templi agrigentina
da una delle colonne del tempio di Giunone.
Lo scatto è di Federico Patellani
e venne pubblicato nel volume "Sicilia" edito nel 1960 dal TCI

Sorgevano templi grandiosi, spropositati non solo per le dimensioni, come a Selinunte, ma anche per la concentrazione numerica, come ad Agrigento.
Ecco dunque l'eccitato gusto siciliano per il kolossal, per la pletora; l'ambizione del fare in grande, certo ardore anticlassico che rompeva i canoni d'oro.
Uno slancio del sangue, una vitalità persa in enormi vagheggiamenti.
Ben diversi i Greci di Grecia, parchi e misteriosi, nelle loro severe e sublimi matematiche architettoniche..."   

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