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domenica 1 dicembre 2013

SAN GREGORIO: MARE, MINA E PAOLI

Una stretta fascia di spiaggia
lungo la costa messinese
di San Gregorio, allora
sconosciuto borgo di pescatori.
ReportageSicilia ripropone le
fotografie e stralci di un reportage
pubblicato nel giugno del 1961
dal mensile "Quattroruote"

"Anche oggi un gruppo di ragazzi e ragazze, lasciata la spiaggia cittadina di Capo d'Orlando, sono venuti in fuoribordo a fare il bagno fra la scogliera.
Hanno portato un cocomero, e ora, mentre mi avvio per ritornare a San Gregorio in cerca di una doccia e della cabina, lo mangiano al sole.
La rada che sembra destinata a piccole imbarcazioni in oblio, ad agili cutter in attesa del vento propizio, ai fuoribordo dei nuovi villeggianti, ebbe in anni non lontani l'importanza commerciale.
Il turismo l'ha scoperta di recente, ed è ancora in fase pioneristica. Tuttavia un dancing, ricavato presso il mare - fra ulivi e banani - è il ritrovo più frequentato del tratto di riviera che va da Milazzo a Cefalù.


In questa fotografia ed in quella che segue,
tratti di spiaggia di San Gregorio a ridosso
della strada statale 113,
fra Palermo e Messina

Nel bar, dove entro a prendere una granita di limone ( la gente del luogo consuma granite dalle sette di mattina a mezzanotte ), trovo, accanto a un dipinto di Omiccioli e disegni di Cantatore e Migneco, che sono stati qui a dipingere, una fotografia ricordo di Nicola Arigliano.
Ma chi passava l'estate a San Gregorio quando vi si giungeva soltanto con una mulattiera, teme il futuro turistico del piccolo borgo. E nelle ore più calde, in cui la tranquillità della rada è compromessa dall'assalto dei forestieri che giungono in auto dai paesini della riviera e dall'interno, e Mina esplode dal juke-box, gli habitués spostano gli ombrelloni nelle spiagge ancora disabitate.
L'unica trattoria di San Gregorio, che allinea i tavoli accanto a una noria in disuso, appartiene a un pescatore costretto a cambiare mestiere dall'avarizia del mare, generoso soltanto con i subacquei.
Uno di questi, entrato con la maschera alzata sulla fronte e un piccolo mostro infilzato all'arpione, mi parla di cernie, murene e polipi che si trovano in una certa parte della scogliera: una vera riserva di caccia".




Era il giugno del 1961 quando il mensile "Quattroruote" descrisse così San Gregorio, la borgata marinara messinese nei pressi della più nota Capo d'Orlando.
Come molte altre località costiere dell'isola, cinquant'anni fa anche San Gregorio era una meta quasi sconosciuta di soggiorno o di vacanza: la sua distanza da Palermo e Messina - le città più vicine - evitava l'affluenza di frotte di bagnanti; il piccolo borgo era semmai un luogo frequentato da locali e da una ristretta cerchia di fedelissimi turisti continentali e stranieri.  
Il reportage del mensile milanese - firmato da Basilio Reale - racconta oggi le prime avvisaglie dello sbarco a San Gregorio del turismo di massa: quasi un riverbero di quel boom economico che nello stesso periodo in altre regioni italiane affollava località balneari come Forte dei Marmi, Rimini o Lignano Sabbiadoro.
A differenza di queste località, quest'angolo remoto di Sicilia poteva però offrire un paesaggio non ancora alterato dall'asfissiante presenza degli stabilimenti balneari.


Il borgo di pescatori,
tra la spiaggia ed una vegetazione
che allora comprendeva
ulivi, fichi e banani

"Dove il mare si insinua a formare una piccola ansa, la collina va incontro dolcemente alla battuta dell'onda - scriveva Reale - e si arresta al limite della spiaggia su cui, fra ulivi, fichi, aerei ciuffi di banani, si affacciano rustiche case a un piano dipinte coi vivaci colori delle barche tirate sulla spiaggia. 
A guardare, in questa luce di mattino inoltrato, le Eolie disposte in fila come una flottiglia, ho per un attimo l'illusione di potere, senza osare troppo, raggiungere a nuoto l'azzurro arcipelago, e come vado da uno scoglio all'altro, toccare ad una ad una le Isole del Dio...".

Un anno dopo il reportage di "Quattroruote", Gino Paoli avrebbe scoperto San Gregorio e sulle sue spiagge avrebbe composto la celebre "Sapore di sale". Così, la borgata di pescatori messinesi avrebbe perso il suo appartato anonimato in cambio di un piccolo spazio nella storia del costume italiano degli anni Sessanta.
      

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