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giovedì 7 novembre 2013

CAVATORI DI POMICE A LIPARI

Una strada sui fianchi delle colline
delle cave di pomice a Porticello di Lipari.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
furono realizzate da Alfredo Camisa
e vennero pubblicate nel 1960
nel saggio "Lo Stretto di Messina e le Eolie",
edito dall'Automobile Club d'Italia

"L'intero versante settentrionale dell'isola di Lipari è una immensa cava di pomice, parte a cielo aperto e parte solcata da centinaia di anguste gallerie. Vi lavorano un migliaio di operai.
Nelle giornate ventose, una compatta nuvola bianca di polvere insidiosa avvolge il fianco del monte.
Gli operai devono lasciare il lavoro: una giornata senza salario nel ristretto bilancio di un anno di fatica mal ripagato".
Era il 1960 quando il poeta messinese Bartolo Cattafi così descrisse la fatica quotidiana dei cavatori di pomice della maggiore fra le isole Eolie.
Le parole di Cattafi fecero da didascalia alle straordinarie immagini di Alfredo Camisa, fotografo già ospitato in altri post da ReportageSicilia.


All'epoca del reportage
di Camisa i cavatori di pomice
erano circa 500.
Le condizioni di lavoro erano durissime
e non erano infrequenti gli incidenti mortali
ed i casi di silicosi

Gli scatti di Camisa ebbero il merito di fare conoscere sulle pagine dell'opera "Lo Stretto di Messina e le Eolie" - edita dall'Automobile Club d'Italia per la collana "Italia nostra" - la penosa storia della produzione di pomice a Porticello di Lipari, in un periodo in cui la maggior parte degli italiani immaginava le Eolie semplicemente come splendide isole, remote e selvagge.
In quel periodo, almeno 500 operai estraevano sino a due milioni di quintali di pomice l'anno, lavorando in galleria per 8 ore al giorno senza alcuna protezione per la propria incolumità.
L'attività di estrazione assicurava la sopravvivenza a buona parte delle famiglie dell'arcipelago e garantiva al Comune di Lipari introiti milionari, grazie ai canoni pagati dai proprietari delle cave.  
In nome del superamento di un'antica povertà, a decine i cavatori si ammalavano di silicosi; il loro sacrificio permise di garantire l'attività produttiva di aziende internazionali di cosmetica e di dentifrici.
In un reportage compiuto nell'aprile del 1961 pubblicato sul quotidiano "La stampa" così il giornalista Francesco Rosso descriveva le "paurose cave di pomice di un affamato paradiso":

"Nei mesi estivi, quando il sole saetta implacabile, lavorare lassù è pauroso.
La roccia libera un calore intollerabile, la polvere cocente soffoca, la sete tortura e i meno forti cedono. 
Un capogiro, uno sforzo maldestro per muovere sulla liscia parete le gambe impiombate di stanchezza, e la voragine si spalanca sotto gli ignari, che - storditi dall'insolazione - hanno già perduto conoscenza ancor prima di iniziare il volo di trecento metri verso l'abisso d'ombra...".


L'impianto di Porticello di Lipari
cessò la produzione
dopo che la Regione, alla fine del 2005,
decise di fare scadere le concessioni
per lo sfruttamento del giacimento.
Due anni dopo, un'inchiesta
giudiziaria accertò gli abusi ambientali
compiuti in decenni di sfruttamento
delle miniere

Nel dicembre del 2005 - dopo la scadenza delle ultime concessioni regionali per l'attività di estrazione -  la storia delle miniere di pomice e dei cavatori a Porticello di Lipari conobbe la parola fine. 
Due anni dopo, un'inchiesta della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto nei confronti dell'azienda Pumex avrebbe accertato che l'attività industriale sarebbe stata condotta in spregio alle norme della tutela dell'ambiente: un epilogo amaro per la storia industriale delle "paurose colline bianche" e dei suoi vecchi cavatori.      

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