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sabato 29 giugno 2013

STRAGE DI CIACULLI, QUANDO L'ITALIA SCOPRI' LA MAFIA

La Giulietta carica di alcune barrette di tritolo che il pomeriggio del 30 giugno del 1963 esplose all'interno del fondo Sirena, 
nella borgata palermitana di Ciaculli. 
Nell'esplosione persero la vita 7 fra carabinieri, poliziotti e soldati intervenuti per disinnescare l'ordigno.
La fotografia è tratta dall'opera di Michele Russotto
"La Sicilia negli anni Sessanta", edita nel 1989 da Anvied

Il 30 giugno di 50 anni fa l'Italia distratta dalla bolla del benessere economico scoprì cosa fosse la mafia.
Nel pomeriggio di quella domenica infatti una Giulietta colore azzurro imbottita di tritolo esplose all'interno del fondo Sirena, nella borgata palermitana di Ciaculli.

Rottami della Giulietta dopo l'esplosione.
Pochi giorni dopo l'episodio, presero precipitosamente avvio
i lavori della Commissione Parlamentare Antimafia

Persero la vita in sette: il tenente dei Carabinieri Mario Malausa, da un anno comandante della tenenza suburbana di Palermo, di stanza all'interno della caserma "Carini"; il maresciallo della sezione omicidi della Squadra Mobile di Palermo, Silvio Corrao; il maresciallo dell'esercito Pasquale Nuccio; il maresciallo dei Carabinieri Calogero Vaccaro, comandante della stazione di Roccella; il soldato d'artiglieria Giorgio Ciacci; gli appuntati dei Carabinieri Eugenio Altomare e Marino Fardelli, anche loro della stazione di Roccella. 

L'ingresso di fondo Sirena, nella borgata di Ciaculli.
L'esplosione accidentale della Giulietta
fu l'episodio della guerra fra i clan Greco e La Barbera
che fece scoprire all'Italia la dimensione violenta della mafia,
lontana da visioni folkloriche o romanzesche

La notte precedente, un'altra Giulietta era saltata in aria nella vicina Villabate, dinanzi l'autorimessa del boss Giovanni Di Peri; in quell'attentato avevano perso la vita il custode Pietro Cannizzaro ed il fornaio Giuseppe Tesauro. 
L'utilizzo di quelle autovetture per la realizzazione di attentati contrassegnò all'epoca la feroce faida palermitana tra il clan Greco e quello dei fratelli La Barbera.


I funerali di Stato in Cattedrale, a Palermo,
delle vittime della strage.
Nei decenni a seguire,
altre esequie di Stato avrebbero ciclicamente
riproposto a Palermo retorici impegni per la lotta alla mafia 


Lo scontro - come ebbe a scrivere in quei mesi alla famiglia il tenente Mario Malausa - rendeva Palermo una città ai margini della legalità. "In meno di 20 giorni" - riferiva il tenente - "ho avuto ben 7 omicidi. Ho molto, molto lavoro, dato che la lupara e il mitra cantano continuamente". 
La morte dei sette uomini in divisa all'interno del fondo Sirena fu la conseguenza non di un attacco diretto contro lo Stato, ma di un errore nelle operazioni di bonifica che avrebbero dovuto disinnescare la Giulietta.
Il processo alla mafia palermitana celebrato nel 1967 a Catanzaro non riuscì ad individuare i nomi di chi piazzò quell'auto che fece strage: una verità ancor oggi rimasta oscura.
"L'attenzione è rivolta alla bombola sul sedile posteriore dalla quale - scriverà Michele Russotto nel saggio "La Sicilia e gli anni Sessanta", edito da Anvied nel 1989, del quale ReportageSicilia ripropone le prime cinque fotografie del post  - la lunga miccia bruciacchiata fa capire che è stata accesa male perchè si è spenta prima di arrivare a fare deflagrare la bomba. In un paio di minuti il maresciallo Nuccio neutralizza l'ordigno, libera la bombola dal suo supporto e la fa rotolare lentamente lungo la sconnessa mulattiera. Ma sul sedile posteriore della Giulietta c'è un altro ordigno. E' un barattolo pieno di bacchette di tritolo dal quale pende una miccia che non si capisce dove sia collegata. Nuccio è alle prese con questo secondo ordigno. E' il momento fatale. In un attimo il rumore dell'esplosione assorda tutti coloro che sono rimasti davanti al cancello che immette nel fondo di villa Serena. Al posto dell'automobile carica di tritolo si alza un fungo nerastro pieno di metallo e brandelli umani che ricadono per terra e sugli alberi del vicino agrumeto...". 

Altre cerimonie e corone di fiori dopo la strage:
di scena è l'allora
presidente della Regione Siciliana, Giuseppe D'Angelo.
L'occasione è l'inaugurazione di una stele
in onore delle sette vittime.
L'immagine - al pari di quella che chiude il post - è tratta dall'opera
"Antimafia: occasione perduta?",
edita da Gruppo Sicilia Domani nel 1964

La strage di Ciaculli riesce a scuotere un'Italia in cui - come scriverà invece Giuseppe Di Lello nel saggio "Giudici", edito da Sellerio nel 1994 - "la lunga catena di delitti degli anni Cinquanta e Sessanta è servita a tener desta solo l'attenzione degli italiani incuriositi dal folklore di questa strana isola e da questi ancor più strani isolani, mentre la grande maggioranza degli stessi palermitani è rimasta alla finestra, preoccupata non più di tanto per un fenomeno che riguarda solo gli affiliati alle bande criminali e che, comunque, sembra fisiologico per una città che cresce a vista d'occhio, sempre più opulenta".
L'eccidio del 30 giugno 1963 darà un'accelerazione all'avvio - l'8 luglio -  dei lavori della Commissione Parlamentare Antimafia: un'azione di contrasto che nei decenni a seguire sarà costellata da delitti eccellenti, stragi di magistrati e perduranti legami fra uomini politici e cosche.
Oggi la strage di fondo Sirena è relegata fra i polverosi ricordi degli episodi di mafia in Sicilia. 
I familiari degli uomini morti nell'esplosione furono allora risarciti con un milione di euro. 
A due delle sette vittime nell'esplosione della Giulietta - Eugenio Altomare e Marino Fardelli - sono state invece recentemente intitolate la compagnia dei Carabinieri di Rogliano e la ANC di Cassino.  

    

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