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mercoledì 3 ottobre 2012

CEFALU', LA SCOMPARSA DEI PESCATORI

Nella foto che apre questo post ed in quella che segue - entrambe di ReportageSicilia - due pescatori di Cefalù rammendano in strada la loro rete: una pratica sempre più rara nella cittadina palermitana dove la realtà della pesca locale sembra destinata
ad un progressivo annullamento
“E’ una piccola città di marinai e di pescatori ( specie di sardine )”.
Così la guida ‘Sicilia’ del TCI del 1919 descriveva Cefalù, allegando una piantina del paese che indicava le acque del porto vecchio con il termine “sbarcadero”. Da qui, sino alla fine del secolo XIX, prendevano la via del mare manna, legname, cereali e grandi quantità di sarde salate, principale risorsa ittica locale.

Tramontati i vecchi fasti della pesca e della salagione delle sarde,
i pescatori cefaludesi
si dedicano perlopiù alla cattura dei "caponi" ( le lampughe ).
L'affievolirsi delle attività ittiche e marinare sta facendo perdere un pezzo importante dell'identità sociale e culturale
di Cefalù, oggi pesantemente segnata dall'industria del turismo

Un secolo prima i pescatori del luogo avevano sperimentato l’attività della tonnara, le cui reti venivano calate in località Battilamano – nei pressi di Termini Imerese – e al largo della Caldura.   Dove abitassero quei pescatori e marinai cefaludesi è ancor oggi visibile: quel fronte di antichi edifici in conci di tufo che sovrasta pochi lembi di spiaggia all’inizio del lungomare della cittadina.

Movimento in uscita ed in entrata dal vecchio porto in una fotografia aerea scattata presunibilmente alla metà degli anni Settanta e pubblicata dall'opera "Cefalù e le Madonie", edita da Plurigraf Narni nel 1981.
Nei secoli passati, i pescatori cefaludesi si dedicarono anche all'attività di tonnara, al largo della Caldura e della costa di Battilamano,
non lontano da Termini Imerese 
 
Una visita nella Cefalù dei nostri giorni non fa più quasi mostra né di marinai né di pescatori. Col passare degli anni, il paese incastonato ai piedi della cattedrale normanna è semmai diventato un luogo sempre più affollato di quei turisti la cui presenza – ed il cui sfruttamento economico – ha stravolto l’atmosfera e lo stesso contesto locale che rendeva desiderabile sino a pochi decenni fa un viaggio in quest’angolo di costa siciliana.

Uno scorcio del porticciolo ritratto nell'opera della Plurigraf Narni così come appariva a metà degli anni Settanta
 
Negozi, strade e scorci urbani hanno perlopiù stravolto il proprio aspetto originario in funzione delle legioni di visitatori che ogni giorno – grazie ai pullman dei tour operator - invadono la cattedrale, corso Ruggero ed i vicoletti.

Le tante barche da pesca che sino a qualche decennio fa
componevano la flotta cefaludese.
Sullo sfondo, la cortina di storici edifici abitati perlopiù d
alla comunità dei pescatori.
Anche questa immagine è tratta dall'opera
"Cefalù e le Madonie" citata in precedenza
Così, quel senso di naturale eleganza ed ospitalità offerto dalla Cefalù di un tempo ha lasciato il posto ai negozi di souvenir che espongono magliette con la scritta “Minchia, sono stato in Sicilia”, prezzi troppo spesso gonfiati ed asfissianti ricerche di un parcheggio libero.
Poco o nulla è insomma rimasto di quella tranquilla cittadina che, come scriveva sessant’anni fa Aurelio Rigoli, “è arroccata intorno ad un attivo porticciolo, ed in cui gli abitanti si dedicano ancor oggi agli antichi lavori di artigianato: mobili, carri variopinti, eleganti oggetti in vimini, ricamo”. Erano quelli gli stessi anni in cui il cronista di un importante quotidiano italiano riferiva l’abitudine dei pescatori di “lavare con l’acqua del mare i cinquecenteschi vicoli del centro storico”.
 
Una veduta oleografica di due giovanissimi pescatori cefaludesi tratta dall'opera "Sicilia" di Daniel Simon,
edita da Salvatore Sciascia nel 1956 
Pescatori e marinai, insomma, sono diventati a Cefalù quasi un residuo oleografico di un passato stravolto dalle logiche di uno sviluppo turistico che sta cancellando l’identità storica più profonda e vera della cittadina.
Gli ultimi “uomini di mare” cefaludesi – come i due pescatori impegnati nel rammendo delle loro reti ritratti da ReportageSicilia – sembrano quasi una presenza aliena nella stravolta realtà della Cefalù contemporanea.

Una litografia raffigurante barche da pesca a Cefalù
nel primi decenni del secolo XIX.
L'opera è contenuta del volume di Gally Knight
"The Normans in Sicily",
edita a Londra nel 1838.
Nell'ultima immagine di questo post, ReportageSicilia ripropone l'incisione di alcuni pescatori pubblicata a Milano nel 1892 dall'opera di G.Chiesi
"La Sicilia illustrata nella storia, nell'arte, nei paesi".
 
 
Chiusa per sempre l’epoca della pesca e salagione delle sarde ed interrotta pure la tradizionale “Sagra del Pesce Azzurro”, poche decine di piccole barche si dedicano per lo più alla cattura dei “caponi”: una realtà di ripiego per la storia di un pezzo importante di identità lavorativa e popolare cefaludese, in un comune che pure continua a conservare nel suo stemma civico il disegno di tre pesci.

 
         

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