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domenica 10 giugno 2012

I BORGHI FANTASMA DELL'ISOLA

Una fotografia datata 2006 di ciò che rimane ancor oggi di alcuni edifici del Borgo Giuliano a San Teodoro, nel messinese.
Il villaggio fece parte del sistema di borghi agricoli che secondo il regime fascista avrebbero dovuto favorire lo sviluppo delle campagne siciliane, cancellando i guasti del latifondo.
Le vicende del secondo conflitto mondiale e la successiva scandalosa gestione di questi borghi da parte dell'Ente Riforma Agraria Siciliana hanno determinato il fallimento dell'esperienza.
Oggi, gran parte di questi villaggi versa in stato di abbandono.
L'immagine è tratta dal sito www.comune.santeodoro.me.it  
“Ho visto i paesi fantasma della Sicilia, i paesi costruiti non si sa perché e non si sa per chi, case, strade, piazze, chiese, monumenti, scalinate, fontane. Nessuno è mai andato ad abitare in queste case, nessuno ha percorso queste strade e queste piazze. Fra gli archi dei portici, che sembrano ritagliati da un quadro metafisico, il passo richiama un’eco allucinata nella profondità del silenzio. Qui avrebbero dovuto cominciare una nuova vita i contadini siciliani riscattati dal latifondo: ma i borghi sono stati costruiti a distanze insuperabili dalle terre loro assegnate. Oppure erano vicini alle terre, ma allora mancava l’acqua. Oppure c’era anche l’acqua, ma sarebbe stato troppo costoso far arrivare la luce. Così l’opera è restata a metà, mentre si è messo mano ad un’altra impresa, che anch’essa non è arrivata a compimento perché una nuova autorità rivale ha conquistato il potere e non ha voluto confondere l’iniziativa propria e l’altrui: e pertanto, per la terza volta, si è ricominciato tutto daccapo, da un’altra parte, e ancora non è finito”.

Il Borgo Giuliano - intitolato a Salvatore Giuliano, combattente fascista morto in Africa nel 1938 - in una fotografia realizzata dal palermitano Eugenio Bronzetti nel periodo della sua fondazione.
Il villaggio venne inaugurato nel dicembre del 1940 dal ministro dell'Agricoltura Tassinari: i suoi edifici avrebbero dovuto assicurare i servizi essenziali ai braccianti agricoli di quest'area
della provincia di Messina.
Oggi le strutture versano in stato di completo abbandono, al pari della maggior parte degli altri borghi rurali costruiti in Sicilia anche dal governo della Regione 
Con queste parole, pubblicate il 23 giugno del 1963 sulle pagine del settimanale EPOCA, Giuseppe Grazzini descrisse l’abbandono e la rovina dei borghi rurali in Sicilia, costruiti per lo più durante il regime fascista.
Il progetto – partendo dalla costruzione ex novo di otto insediamenti agricoli – fu quello di favorire allora una corretta colonizzazione del latifondo isolano, stimato nel 1940 in 500.000 ettari.
Il Borgo Lupo nelle campagne catanesi di Mineo, in contrada Mongialino.
Il villaggio - che porta il nome di Pietro Lupo, medaglia d'oro al valor militare - venne costruito tra il 1940 ed il 1941 su progetto degli ingegneri Marino, Santangelo e Puglisi.
Era composto da 15 edifici, che, a causa dello scarso valore dei materiali da costruzione, subirono un rapido degrado.
Un intervento di ristrutturazione eseguito fra il 1958 ed il 1961 non ha rilanciato l'originaria funzione d'uso del borgo,
oggi abitato abusivamente da pochi residenti.
Anche questa immagine riproposta da ReportageSicilia - al pari di tutte le altre dello stesso periodo - porta la firma di Eugenio Bronzetti
La prosa retorica dello scrittore milanese Carlo Emilio Gadda, nel marzo del 1941, descrive i contenuti di quel piano edilizio.
“La colonizzazione, voluta ed ideata dal Duce – scrisse Gadda sulla rivista del TCI ‘le Vie d’Italia’ - si attua in sede tecnica sotto le ferme direttive dell’Eccellenza Tassinari, ministro per l’Agricoltura e le Foreste, secondo un tipo di appoderamento sparso, a cui è e tanto più sarà di sostegno il cosiddetto borgo rurale. La famiglia colonica viene insediata nella nuova casa rurale: sorge questa sul terreno stesso che gli uomini son chiamati a coltivare. La strada e l’acqua, i due termini perentori della bonifica, arrivano già oggi alla casa: l’Ente Autonomo per la Colonizzazione si occupa intensamente dei lavori di captazione, adduzione e distribuzione delle acque, nonchè degli accessi ai poderi. Compito esclusivo del borgo è quello di garantire tutti i servigi indispensabili al vivere della gente sparsa nei luoghi del lavoro, cioè nelle case rurali che sorgono o sorgeranno entro il raggio di influenza del borgo stesso. Questo raggio di influenza è stato valutato con prudente criterio a 5 o 6 chilometri, per modo che la zona di influenza si estenda ad una superficie di circa 10.000 ettari, ossia 100 chilometri quadrati, e non più”.

Le campagne nissene di località Xirbi con gli edifici del Borgo Gattuso, intitolato a Gigino Gattuso, definito dal regime "martire fascista". Venne fondato tra il 1939 ed il 1940 ed era posto al servizio di 250 assegnatari.
Il villaggio, progettato dall'architetto Edoardo Caracciolo, era costituito da 7 edifici di servizio destinati a municipio, ufficio postale e caserma dei Carabinieri, ambulatorio medico, scuola, chiesa e canonica, trattoria, alloggi per gli impiegati e bevaio.
Ristrutturato fra il 1958 ed il 1960, Borgo Gattuso venne ristrutturato: il villaggio rurale aveva però già perso ogni funzione originaria ed ai nostri giorni alcuni immobili vengono ancora abitati da poche famiglie  
La costruzione dei borghi rurali venne affidata dal regime fascista ad architetti siciliani – da Mendolìa a Caracciolo, da Marino a Marletta, da Baratta a Manetti-Cusa, da Gramignano ad Epifanio - “perché i nuovi aspetti dell’edilizia rustica aderissero ‘ab auctore’ al clima, al colore, al genio dell’isola, pur nei modi e nelle forme onde suole estrinsecarsi il disegno funzionali stico del tempo”.

La canonica annessa alla parrocchia di Borgo Gattuso.
Il fallimento dei borghi rurali in Sicilia risale, da un lato, alla loro incapacità funzionale di diventare i centri di sviluppo dell'economia agricola del territorio; dall'altro, specie nel dopoguerra, sprechi e politiche del clientelismo hanno finito con lo svilire del tutto ogni loro funzione produttiva 
Ad ogni villaggio fu dato il nome di un “eroe” caduto durante l’età del Ventennio e prima del secondo conflitto mondiale vennero completati i borghi Bonsignore ( Ribera ), Gattuso ( Caltanissetta ), Cascino ( Enna ), Fazio ( Trapani ), Giuliano ( Messina ), Lupo ( Mineo ), Rizza ( Carlentini ) e Schirò ( Monreale ).


In questo video tratto da YouTube si documenta il perdurante stato di degrado di ciò che rimane di Borgo Schirò, nel territorio di Monreale, ad una decina di chilometri da Corleone.
Intitolato a Giacomo Schirò - un bersagliere italo-albanese accoltellato a morte nel 1920 a Piana degli Albanesi - il villaggio si è progressivamente spopolato, sino ad ospitare soltanto il parroco della locale chiesa.
Nel 2000, dopo ripetuti saccheggi di tutto ciò che aveva ancora una funzione decorativa, anche il parrocco ha abbandonato il borgo, oggi rimasto in stato di totale abbandono.
Qualche anno fa, gli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Palermo hanno decorato gli edifici fatiscenti, che attualmente ospitano di tanto le finte guerre degli appassionati di 'softair'.
Nel frattempo, un progetto di ristrutturazione del Comune di Monreale non ha modificato lo sfacelo di questi luoghi 

L'obiettivo di Bronzetti coglie l'isolamento di Borgo Schirò,
nelle campagne corleonesi.
Proprio la mancata costruzione delle infrastrutture necessarie a collegare questi villaggi al resto del territorio, hanno determinato il fallimento dei borghi rurali siciliani 
Dopo l’istituzione della legge sulla costruzione dei borghi agricoli isolani – nel gennaio del 1940 – furono costruite un totale di 2507 case coloniche; altre 300 erano in costruzione quando il regime fascista trascinò l’Italia nel conflitto, facendo della Sicilia uno dei principali terreni di guerra nel Mediterraneo.
Di fatto, il progetto dei borghi fu interrotto od eseguito in maniera precaria, con materiali edilizi di scarsa qualità.
A decretarne il suo definitivo fallimento furono gli anni del dopoguerra e delle tante occasioni di sviluppo perse dall’Autonomia della Regione.

Fondato nel 1941 su progetto dell'architetto Pietro Gramignani, il Borgo Rizza - dal nome di Angelo Rizza, militante fascista - segnò il paesaggio di contrada Tummarello, nel territorio di Carlentini.
Gli 8 edifici che lo costituivano vennero abbandonati negli anni Settanta; nel 2007, in Comune di Carlentini ha avviato un restauro del borgo, impegnando 850.000 euro e dovendo poi bloccare i lavori per la disponibilità di ulteriori fondi.
In tempi recenti, è stato proposto un progetto di ristrutturazione che vorrebbe riqualificare il borgo, ospitandovi un centro per la ricerca vivaistica e lo sviluppo delle colture agrumicole ed olivicole
L’ERAS – l’Ente Riforma Agraria Siciliana, costituto nel 1950 per succedere all’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano – diede prova di quello che l’inchiesta di Giuseppe Grazzini definì ancora come “un semplice ed impressionante compendio di tutte le circostanze nelle quali la rettitudine dei singoli e le strutture amministrative della Regione, teoricamente valide, scompaiono nel grande assalto alla diligenza”.

Inaugurato nel dicembre del 1940, il Borgo Bonsignore venne costruito nelle campagne di Ribera, nell'area che oggi fa parte
della Riserva Orientata Foce del Fiume Platani.
Il nome del villaggio si lega a quello di Antonio Bonsignore, un capitano dei Carabinieri morto nel 1936 nell'allora Africa Orientale italiana.
Al suo impianto originario - fra i meglio conservati tra tutti gli esempi di borghi rurali della Sicilia - si sono unite nuove case di villeggiatura e strutture turistiche 
Pur avendo ottenuto dallo Stato un contributo iniziale da 120 miliardi di lire – fondi calcolati su un milione per ettaro, in rapporto alla superficie della Sicilia destinata allo scorporo – l’ERAS poco fece per l’impiego concreto delle ingenti risorse, e nulla per il completamento dei borghi rurali costruiti prima della guerra.
Il criterio della dirigenza dell’Ente fu semmai quello di costruire una nuova trentina di borghi – scelta che alimentava ben più appetibili appalti – o di favorire un massiccio allargamento della sua pianta organica, che passò dai 200 dipendenti ai quasi 3.000, ovviamente con motivazioni clientelari.

Una piazza di Borgo Bonsignore svela il funzionalismo che ispirò la progettazione dei borghi rurali siciliani.
Costruiti nei mesi del coinvolgimento dell'Italia nel secondo conflitto mondiale, questi villaggi furono completati con materiali di scarsa qualità e senza che si definissero le infrastrutture che avrebbero dovuto creare un reale rapporto con il territorio circostante
Oggi il degrado strutturale e l’abbandono dei borghi agricoli siciliani raccontano la storia di uno dei molti fallimenti della politica regionale, capace di mortificare energie e potenzialità economiche isolane.
ReportageSicilia ripropone in questo post alcune immagini di quei villaggi, opera di Eugenio Bronzetti ( fotografo palermitano oggetto di un altro recente post ), in origine pubblicati a corredo del citato articolo di Carlo Emilio Gadda.
La metafisica e funzionale architettura di quei manufatti stride con il loro aspetto odierno; quasi uno specchio dell’irrazionale spinta dei siciliani a deprimere ogni progetto di razionale ed organizzato sviluppo: un lusso ai nostri giorni non più tollerabile.

Fra gli edifici a servizio del Borgo Bonsignore vi era anche questa trattoria.
Il funzionalismo che stava alla base
della ideazione di questi villaggi, fallì il suo intento perchè la filosofia della loro progettazione si scontrò con il mancato superamento nell'isola della realtà del latifondo



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