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sabato 22 ottobre 2011

GLI 'ABBANNIATURI' DI PALERMO

"'Ncutti, 'ncutti l'haiu i vruòccoli" ( "sodi, sodi ce li ho i broccoli" ): è l'"abbanniata" di un giovane venditore ambulante a Palermo nel 1918, quando il reporter Ermanno Biagini pubblicò su un numero del mensile 'Le Vie d'Italia' un articolo intitolato 'Venditori ambulanti delle vie palermitane'. A distanza di quasi un secolo, di questi personaggi testimoni della vita popolare della città - una presenza strettamente legata ad un'economia agricola ed artigianale - non rimane quasi più traccia

Fotografie e descrizioni di venditori ambulanti che sino a qualche decennio fa affollavano i mercati palermitani abbondano: gran parte delle pubblicazioni dedicate alla Sicilia propongono immagini della Vucciria, del Capo o di Ballarò, con il loro immancabile contesto dei banchi ricolmi di generi alimentari o prodotti casalinghi; fra i tanti fotografi che si sono esercitati nel genere vi è stato anche Renato Guttuso, che prima di dipingere il suo coloratissimo mercato della Vucciria ne fissò su pellicola scorci e volti in bianco e nero.

Le fotografie di presentazione del reportage pubblicato da 'Le Vie d'Italia': accanto al titolo, la straordinaria espressione di un venditore di aglio, la cui "abbanniata" - le grida utilizzate per vendere la merce in strada - era "ci vonnu l'agghiu p'i vicini!" ( "ci vogliono gli agli per i vicini!" ). Spiega nel suo articolo Biagini: "siccome l'aglio si fa sentire con il suo odore penetrante e persistente, così occorre l'aglio per far sentire la nostra presenza ai vicini quando ne sia il caso!"

 Con il passare degli anni,  l’effetto di questo esercizio è diventato decisamente sempre più ‘folklorico’, visto che i mercati popolari palermitani faticano a sopravvivere e che gli ambulanti che vi sbarcano il lunario fanno sempre più parte di un patrimonio etno-antropologico del passato.

Altro personaggio della rassegna di vecchi venditori ambulanti a Palermo: il venditore di focacce, abile nel tenere in equilibrio sulla testa il contenitore che manteneva al caldo la sua specialità.
Notava Biagini che tra questi venditori ed i clienti "un soldo di differenza fra domanda ed offerta generava a volte discussioni interminabili. Ad un certo punto il rivenditore finge di andarsene, e drizza intanto gli orecchi, in attesa che "'a signura' o 'a cammarera' si decida a richiamarlo. Ma il più delle volte ciò non accade, ed è lui stesso che ritorna indietro, gridando verso il balcone che sta per chiudersi: "signura, sintissi ccà!", e l'affare è concluso, ormai. Ma il venditore, quasi per dimostrare il grande sacrificio a cui si è deciso, come se veramente ci rimettesse del suo, suggella la difficile vendita con un gran segno di croce, e mormora con un sospirone: "facemu come voli Dio!..."   


 Ho esitato a proporre su REPORTAGESICILIA un post dedicato al tema dei venditori dei mercati, ritenendo l’argomento a forte rischio di ripetizione; una valutazione venuta meno quando ho recuperato un vecchio numero delle rivista del TCI ‘Le Vie d’Italia’, datato luglio 1938. Il periodico pubblicò allora un reportage a firma di Ermanno Biagini, intitolato ‘Venditori ambulanti delle vie palermitane’; l’autore firmò anche numerose fotografie di ambulanti ritratti con i vari prodotti, non senza sottolineare che “la laografia locale annovera in questo campo centinaia di tipi ben definiti e distinti l’uno dall’altro che, dal levare dal sole fino al tramonto, non fanno che andare e venire per le vie della città, offrendo a gran voce le loro più svariate mercanzie”.

Accanto ad un fruttivendolo con il suo carretto, l'obiettivo del fotografo ci tramanda l'ormai scomparsa figura dello "scuparu", il venditore di scope. "Esso va in giro abitualmente al mattino, quando più occorrono per le case i suoi utensili, e grida, rimando: "scupi bella di curina! Quantu nn'è vvnniri stamatina!" ( "scope belle di curina! Quante ne devo vendere questa mattina!" )


 Biagini scoprì ai lettori del mensile del Touring l’arguto campionario di frasi gridate dagli ambulanti palermitani, fornendo a premessa della comprensione del loro modo di vendere il principio palermitano dell’”abbanniaturi”: “Robba abbiannata, menza vinnuta”, “merce gridata, mezza venduta”. “Questi instancabili venditori girovaghi – si legge nel reportage – non ristanno dal proclamare a gran voce le lodi più sperticate dei loro prodotti, usando gli aggettivi più pomposi, le metafore più ardite, i più salaci sottintesi.

Altra scomparsa presenza di venditore tra le vie palermitane: quello di pollame vivo.
Nel suo reportage, Biagini scriveva che "troppo ci vorrebbe a ricordarli tutti questi venditori ambulanti, che assommano ad oltre un centinaio di tipi veramente caratteristici. Consigliamo invece al turista di considerarli a uno a uno, perchè essi coistituiscono un aspetto del volto tradizionale, caldo e immaginoso del popolo siciliano"


Ognuno ha il suo verso tradizionale, il suo timbro di voce, il ritmo suo particolare: dalla lenta cantilena fino alle note più stridule e più acute, per tutta una gamma di inflessioni, di modulazioni, ora piane, ora alte, ora meste, ora allegre, ora lente e sospirose come un lamento, ora rapide e trillanti come agili motivi di stornelli”.

Il venditore di crivello, strumento da utilizzare per setacciare il grano. Il "crivaru", scrive Biagini, "reca a bandoliera un gran numero di stacci di ogni grandezza, gridando "ci voli u crivu! V'accattàtivi u crivu!" ( "ci vuole il crivello! Compratevi il crivello!" )


 Questa narrazione di Biagini – e la citazione degli slogan “abbanniati” allora degli instancabili venditori girovaghi, ritratti da fotografie in cui i visi offrono uno straordinario e immutabile repertorio di caratteri palermitani – mi è parsa preziosa; tanto più, perché il reportage documenta la presenza dell’”abbanniaturi” a Palermo alla vigilia delle devastazioni del secondo conflitto mondiale, al termine del quale la città avrebbe voltato le spalle al suo devastato centro storico.

Scatto in posa per un gruppo di venditori ambulanti di mele insieme a tre ragazzini.
 Il mestiere di venditore ambulante si tramandava di padre in figlio, con un naturale e precoce travaso di esperienza e di contatto quotidiano con la strada 


Si trattò di un periodo cruciale per la storia della società popolare urbana, in cui il ruolo degli ambulanti nei mercati popolari – legato ad attività agricole ed artigianali locali – andava inesorabilmente scomparendo. Con la sua scrittura, Ermanno Biagini ebbe il merito di registrare le loro voci, ricordandoci oggi le loro colorite espressioni: quella dei venditori di fichidindia, "Ficudinnia duci chi haiu! Veri di Calamigna!" ( "Che fichidindia dolci che ho! Sono autentici di Ventimiglia Sicula!" ), di agrumi, "D'a sciorta bella sù i lumìuna! Partualli e mannarini duci! Comu i fravuli sù!" ( "Della scelta migliore sono i limoni! Aranci e mandarini dolci! Come le fragole sono!" ), di semi salati, "Cù sali e senza sali l'haiu d'a nostra! Nuciddi e favi: càvura a' simenza!" ( "Col sale e senza sale ve la do nostrale! Nocciole e fave: calda è la semenza!" ), di lumache, "Tutti chi corna fora sù sti babbaluci! C'u pitrusineddu! C'u picchiu pacchiu!" ( "Tutte con le corna di fuori sono queste lumache! Con il prezzemolo! Con pomodoro e cipolla!" ), e di acqua e anice, "Acquaaaa! Ma chi è gilatu, cu lu zammù: chi l'haiu frisca!" ( "Acquaaaa! Ma cos'è, un gelato, con l'anice? Come è fresca!" ). 

Ancora oggi il pane palermitano - specie quello 'rimacinato', cui si aggiungono i semi di sesamo, detti "giuggiulena" -  è rinomato per gusto e freschezza; molti panifici lo preparano più volte nel corso delle 24 ore. "Per chi ami gustare il pane scuro, il pane campagnolo, in belle forme tonde, con sopra incisi i segni delle fette a spicchio - scrive Biagini - ecco qua il venditore di pane fatto in casa: "Pane ri casa bellu! Che duci u' pani ri casa!" ( "Pane di casa bello! Com'è dolce il pane di casa!" ) 


 Ancora qualche decennio dopo – tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta – Danilo Dolci avrebbe recuperato a Palermo le sparute voci di qualcuno fra gli ultimi “abbanniaturi”. “Voi sentirete come parla questa gente. Mentre al Nord gli operai e gli impiegati delle fabbriche sono sempre più astrattamente stereotipi – scriveva il sociologo di padre triestino e di madre slava – questa gente ha ancora toni genuini, parlano ancora uno per uno, tutti diversi: nelle loro tragiche voci”. 

Un'ultima fotografia dedicata agli "abbanniaturi" palermitani pubblicata da 'Le Vie d'Italia' nel luglio del 1938 e proposta da REPORTAGESICILIA: ritrae un'anziana tessitrice di stuoie all'esterno della sua bottega. Anche questa immagine tramanda il ricordo di un mestiere artigiano ormai quasi del tutto cancellato dalla produzione industriale: il degrado e lo spopolamento dei quartieri storici palermitani - che di lì a poco subiranno anche la devastazione delle bombe alleate - sono stati favoriti dal progressivo abbandono delle piccole attività manuali 
   


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