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martedì 20 dicembre 2011

'I SICILIANI' CHE RACCONTANO OLTRE L'ISOLA


La testata, inequivocabilmente, ricorda quella del mensile 'I Siciliani' di Pippo Fava, esempio di un giornalismo d'inchiesta che nella Sicilia degli anni Ottanta non esitò a denunciare gli intrecci catanesi fra politica, imprenditoria e mafia. In effetti, 'I Siciliani giovani' - in questi giorni alla sua prima uscita on line, al sito www.isiciliani.it - nasce da un progetto di Riccardo Orioles, che di Fava e de 'I Siciliani' fu uno dei maggiori protagonisti in una redazione che ha allora formato numerosi cronisti di spessore.
La nuova testata - che a partire dal terzo numero dovrebbe andare in stampa ed essere distribuita in alcune edicole nazionali  - ha l'ambizione di uscire dall'ambito territoriale catanese e, grazie al web, estendere l'inchiesta giornalistica in altre città e regioni italiane.
Il 'numero zero' - scaricabile in formato pdf - raccoglie già interventi di rilievo: da quelli di Gian Carlo Caselli a quello di Nando dalla Chiesa, ed ancora di Roberto Natale, Lorenzo Baldo, Luciano Mirone, Rino Giacalone e Salvo Vitale, solo per citare alcuni dei nomi conosciuti da REPORTAGESICILIA.
La scommessa della redazione è quella di non rifare semplicemente 'I Siciliani', quanto piuttosto di ripartire da quel modello giornalistico per estendere il racconto delle contraddizioni della società e dell'economia all'intera realtà italiana: una ricerca giornalistica insomma delle tante 'Sicilie' presenti ai nostri giorni in Italia.
Ai 'giovani' colleghi de 'I Siciliani' - ed al loro impegno - va l'augurio di buon lavoro di REPORTAGESICILIA


lunedì 19 dicembre 2011

SANT'ERASMO, DALLA SABBIA AL CEMENTO


Un tempo la borgata marinara palermitana di San'Erasmo era uno dei luoghi della pesca ai margini della città, lungo la strada che conduce a Bagheria e, da lì, verso Messina.
Oggi - come documentato dagli scatti di REPORTAGESICILIA - la sabbia cede presto il posto al cemento, e l'edilizia urbana per lo più abusiva opprime un ambiente pesantemente segnato dall'inquinamento



martedì 6 dicembre 2011

COSE DI SICILIA

LE FOTO DI SCIANNA A PALERMO
dal 17 dicembre al 22 gennaio 2012

Un ritratto di Martin Scorsese eseguito da Ferdinando Scianna nel 1989 a Nerw York: il regista di origine siciliana mostra la foto di un antenato


"Dalla Sicilia me ne sono andato a gambe levate. Là non potevo fare quello che desideravo. Ma è come una madre, non posso farne a meno. Oggi non è migliore. Certo a quei tempi la fame era intorno a me e qualche compagno veniva a scuola senza scarpe. Allora c'era miseria, oggi c'è povertà".
Così, nelle passate settimane Ferdinando Scianna ha parlato della Sicilia ad un giornalista del Corriere della Sera, ricordando il periodo in cui - il 1966 - lasciò Bagheria per approdare a Milano, città dove - afferma Scianna - "mi sento milanese dai miei ex capelli ai piedi".

Una panoramica della retrospettiva di Ferdinando Scianna ospitata al secondo e terzo piano del loggiato San Bartolomeo, a Palermo
L'opera del fotografo bagherese - passato dalla collaborazione con Leonardo Sciascia a quella con la redazione de 'L'Europeo', sino all'approdo all'agenzia Magnum - sarà riproposta da una mostra di 70 fotografie allestita a Palermo dal 17 dicembre al prossimo 22 gennaio. Diversi i luoghi della rassegna: l'Oratorio di S.S. Elena e Costantino, in piazza Vittoria, ed il loggiato di San Bartolomeo, nei pressi di porta Felice; lungo Corso Vittorio Emanuele saranno inoltre esposte 140 opere di artisti che si ispirano a Scianna. 



Ancora due opere di Scianna esposte a Palermo sino al 22 gennaio 2012.
Si tratta di scatti eseguiti negli anni Sessanta nell'ambito di un reportage che avrebbe sortito la pubblicazione di un saggio sulla religiosità in Sicilia con testo di Leonardo Sciascia


mercoledì 30 novembre 2011

LA RAGUSA QUALUNQUISTA

Lo scatto fotografico di Ciganovic - spesso presente nelle immagini proposte da REPORTAGESICILIA - coglie una testimonianza oggi storica di vita quotidiana a Ragusa: sul Ponte Vecchio - o dei Cappuccini - tre venditori ambulanti spingono i loro carretti, superati dal guidatore di una Vespa che oggi farebbe la felicità ed il vanto di un collezionista di scooter della Piaggio. Altre tre figure di passanti animano la scena estiva; sullo sfondo spiccano il campanile e la cupola di San Giovanni, ma l'occhio va alle vistose scritte sui coronamenti di un edificio alla destra del ponte: quella in basso - TIPOGRAFIA SALVATORE PICCITTO - presenta la prima parola parzialmente cancellata in sede di pubblicazione, per evitare una gratuita pubblicità al tipografo; completamente leggibile è invece la scritta FRONTE DELL'UOMO QUALUNQUE, il movimento liberale e liberista fondato nel febbraio del 1946 a Roma dal giornalista Guglielmo Giannini. Con tutta probabilità, la pitturazione del nome del movimento politico risale ad un periodo che precede la data del maggio 1947, quando il Fronte di Giannini ottenne nelle elezioni regionali in Sicilia con la lista 'Blocco Democratico Liberal Qualunquista' il 14,7 per cento dei voti.
Ciganovic pubblicò questa fotografia nel volume 2 'Sicilia' edito da Sansoni nel 1960, molti anni dopo la scomparsa del Fronte dell'Uomo Qualunque in tutta Italia   

domenica 27 novembre 2011

SICILIANDO

"I miei venivano da un paese siciliano. Ed in Sicilia non ci si fida di nessuno, si cresce pieni di diffidenza. E, mi spiace dirlo, ma questo atteggiamento mi venne inculcato a forza. I miei genitori erano brava gente, lavoratori; non erano nè mafiosi nè criminali. Ma c'era questo atteggiamento verso il mondo. Se vedete 'Nuovomondo' di Crialese, i miei nonni erano così"
Martin Scorsese, intervista a 'la Repubblica' del 27 novembre 2011

giovedì 17 novembre 2011

LA SICILIA ANTICA DI VON MATT

Le rovine del tempio C di Selinunte in uno scatto del fotografo svizzero Leonard Von Matt. L'immagine - insieme alle altre postate da REPORTAGESICILIA - sono tratte dal volume "La Sicilia antica", pubblicato da Stringa Editore Genova nel 1960: testo e note portano la firma di Luigi Pareti e Pietro Griffo.
Il fotografo svizzero realizzò numerosi reportage in Italia - gran parte dei quali a Roma - di carattere architettonico, artistico e religioso; nel 1963 i suoi scatti accompagnarono un saggio dedicato all'antica Gela
Basta consultare una qualsiasi guida della Sicilia antica per leggere che negli anni successivi al secondo conflitto mondiale la ricerca archeologica riprese gli studi o avviò nuovi scavi nei principali siti dell’isola.

Operai al lavoro nell'area archeologica di Morgantina, fra Aidone e Catania.
Von Matt visitò la Sicilia in un periodo di intense ricerche archeologiche: le sue fotografie restituiscono oggi il volto di un'isola in cui gli antichi siti mostravano un rapporto di perfetta integrazione con il territorio circostante 


 L’interesse degli studiosi – italiani e stranieri - si concentrò sulle città di fondazione greca e punica, situate in prevalenza lungo le coste; gli scavi tuttavia riguardarono anche luoghi frequentati da popolazioni autoctone – elimi, siculi e sicani – situati per lo più nelle zone più interne. Nacque allora una vasta pubblicistica di carattere documentario che fece della fotografia il mezzo essenziale per immortalare i risultati dei nuovi studi archeologici; fu allora così inevitabile che quegli scatti sottolineassero il contesto paesaggistico delle rovine, restituendoci oggi quel volto di una Sicilia in cui i più antichi fondatori di città avevano scelto siti di fondazione spesso di grande suggestione ambientale.

Il teatro di Segesta, con la sua spettacolare vista sulle campagne trapanesi e sul Tirreno.
Nella fotografia di Von Matt il paesaggio non è ancora attraversato dalle corsie dell'autostrada Palermo-Mazara del Vallo


 Qualche anno fa, nei soliti giri fra le bancarelle romane dei libri usati, trovai uno di quei libri che appunto nacquero sul solco del rinnovato interesse per l’archeologia isolana dei decenni Cinquanta e Sessanta: “La Sicilia antica”, pubblicato nel 1960 da Stringa Editore Genova, con testo di Luigi Pareti e note di Pietro Griffo. Il volume passa in rassegna le vicende dell’isola pregreca, greca e romana, ed è accompagnato da 231 fotografie in bianco e nero e colori ( poche ) per lo più a piena pagina ( 22 per 27 cm. ). Autore di quegli scatti fu il fotografo svizzero Leonard Van Matt ( 1909-1988 ), che in quegli anni realizzò in Italia reportage fotografici pubblicati in una cinquantina di monografie di carattere architettonico, artistico e religioso, soprattutto a Roma.

Le fotografie di Von Matt - per lo più in bianco e nero - colgono a volte aspetti evocativi del paesaggio della Sicilia della fine degli anni Cinquanta: è il caso di questo scorcio di costa milazzese, nel messinese.
La nitidezza di ogni singolo elemento naturale, l'equilibrio dei toni, la mitezza del Tirreno e la luminiosità del cielo sembrano restituire l'immagine di una tipica giornata di primavera siciliana 

Il volume dedicato alla Sicilia antica rivela il gusto di Van Matt per la descrizione dell’opera architettonica – i templi di Agrigento e Segesta, le rovine di Selinunte o gli scavi in corso a Piazza Armerina – rappresentata sempre in relazione ad un riferimento ambientale di ampio respiro, con l’assenza di elementi estranei all’equilibrio fra antico monumento e paesaggio: una caratteristica di tanta architettura siciliana, le cui testimonianze – dal tempio di Segesta a tante più recenti basiliche di età normanna – vivono spesso in una situazione di isolamento fisico.

Ancora uno scorcio di costa siciliana; questa volta il fotografo svizzero esplora le ultime propaggini dell'Europa mediterranea e fissa sulla pellicola l'immagine della costa del sito archeologico di Camarina, nel ragusano

Ogni tanto il fotografo svizzero coglie nel paesaggio del luogo architettonico anche una figura umana: è il caso del gruppo di cavalieri nelle campagne ennesi di Calascibetta o del barcaiolo al largo dell’isola trapanese di Mozia.

La figura umana è poco presente nelle opere siciliane di Von Matt; in questo caso il fotografo svizzero ritrae uno dei barcaioli che all'epoca collegavano la terraferma con l'isola trapanese di Mozia, luogo di una colonia punica

Uomini a cavallo su una polverosa 'trazzera' nei pressi della necropoli di Realmese, nel territorio ennese di Calascibetta.
In questa immagine, lo svizzero Von Matt coglie quella realtà contadina ed arcaica presente in numerosi reportage di viaggiatori stranieri nella Sicilia del secondo dopoguerra: lo spirito documentario lascia in questo caso spazio alle suggestioni della notazione folclorica  


Una panoramica dell'area archeologica di Megara Iblea, e, nelle fotografie sottostanti - nell'ordine - vedute del castello Eurialo, della zona di Serra Orlando - nei pressi di Morgantina - e del letto del fiume Imera, nei pressi delle rovine della colonia greca






Anche in questo caso, nel racconto di Van Matt l’uomo completa la descrizione dei luoghi, occasionale e temporanea presenza nel millenario contesto dell’opera architettonica e della natura.





In altri casi – una serie di fotografie di oggetti conservati nei musei dell’isola – il bianco e nero degli scatti scopre quasi la nuda e più vera essenza della vita quotidiana di quelle millenarie civiltà; una suggestione suggerita, ad esempio, dai coni di alcune monete siracusane, scandagliate dall’obiettivo del fotografo svizzero con l’emozione di chi racconta con i dettagli la storia.  

La fotografia di Von Matt scopre l'interno della 'grotta dei cordari', all'interno del Parco Archeologico della Neapoli, a Siracusa

Uno degli scatti del fotografo svizzero dedicati ai reperti conservati all'interno di un museo, quello di un'antefissa in terracotta con testa di efebo in 'stile severo', in mostra all'interno del Museo di Siracusa: il bianco e nero esalta la plasticità e l'eleganza descrittiva del profilo
"Paesaggio d'incomparabile selvaggia bellezza": così Pietro Griffo scrisse nella sua didascalia a commento della fotografia di Von Matt che ritrae la collina dei templi di Agrigento, con una vista da S-E.
Qualche anno dopo la pubblicazione del volume 'Sicilia antica', Griffo ed il fotografo svizzero avrebbe realizzato un volume dedicato alla colonia greca di Gela

L'ultima fotografia di Von Matt proposta da REPORTAGESICILIA e tratta dalle 231 pubblicate nel volume 'La Sicilia antica': ritrae una serie di monete siracusane - del periodo compreso fra il VI ed il III secolo a. C. - raccolte in una composizione che esalta la bellezza del loro conio


  


giovedì 10 novembre 2011

L'ACCECANTE RICORDO DI SAN VITO

Il golfo di San Vito Lo Capo prima del 1961, in uno scatto del fotografo Ezio Quiresi: sul limite della spiaggia, le poche e basse costruzioni del paese oggi diventato uno dei principali luoghi di vacanza di massa in Sicilia

“Ho scoperto San Vito Lo Capo in un giorno di tarda primavera, agli inizi degli anni Cinquanta. Lo raggiunsi in automobile, dopo un viaggio lunghissimo e pieno di curve. All’epoca l’autostrada Palermo-Trapani non esisteva, vi arrivai attraverso la strada statale 113 e le stesse strade provinciali che si utilizzano ancora oggi: allora però si incrociavano pochissime automobili, erano meno dei carretti e degli asini. Quando raggiunsi San Vito, rimasi quasi accecato dalla sabbia chiarissima della spiaggia e dall’azzurro intenso del mare: il paese era poco più di una macchia di case basse e bianche, gli abitanti sembravano vivere in una dimensione di isolamento dal resto del mondo: era veramente un luogo lontano da ogni quotidianità percepibile nella Sicilia di allora”
Così, qualche anno fa, un anziano avvocato siciliano mi descrisse la sua scoperta di San Vito Capo, la località della costa tirrenica trapanese che di lì a qualche decennio – quando le automobili avevano soppiantato del tutto carretti ed asini - sarebbe diventata il luogo di villeggiatura di molti palermitani.

La parte Est del golfo trapanese di Macari, la più vicina a San Vito Lo Capo.
 E' un altro scatto di Ezio Quiresi che restituisce il volto quasi integro di una delle zone costiere siciliane che ancor oggi cerca di resistere all'edilizia di assalto   
Ancora alla fine degli anni Settanta, San Vito conservava quasi intatta la sua naturale e selvaggia bellezza: la costruzione di alcuni residence ed i primi arrivi di massa di turisti italiani e stranieri l’hanno in seguito inevitabilmente omologata a decine di altri luoghi di vacanza, siciliani e non. Beninteso: ancor oggi San Vito Lo Capo offre un mare ed un paesaggio che – specie se non li si frequenta in piena stagione estiva – meritano un viaggio ed il desiderio di un ritorno; tuttavia, quella primitiva eccezionalità del paesaggio scoperto dall’avvocato siciliano è persa per sempre: basta fare una passeggiata lungo il corso principale del paese per scoprire due avvilenti file di locali che offrono pranzi a 15 euro ‘tutto compreso’; il ristoratore di una trattoria un tempo conosciuta per la sua ospitalità avvicina gli avventori consegnando loro in strada numeretti per il turno, in maniera sbrigativa ed affatto ospitale.
Da qualche anno, l’avvocato siciliano che mi raccontò della San Vito degli anni Cinquanta non c’è più: ha fatto in tempo a non vederla cambiare aspetto, ed a non stravolgere dunque i ricordi di quella lontana giornata di tarda primavera di mezzo secolo fa. A lui dedico questo post e due fotografie di San Vito Lo Capo e del vicino golfo di Macari che conobbe, rimanendo accecato dalla sabbia e dal mare: gli scatti sono del fotografo cremonese Ezio Quiresi – autore di numerose opere dedicate alla sua città, scomparso nell'agosto del 2010 – e pubblicati nel volume ‘Sicilia’ del TCI del 1961.

lunedì 24 ottobre 2011

SICILIANDO

"Dal 1969 al 1975 mi sono fermato a Palermo. In Sicilia non ho mai incontrato comportamenti mafiosi, non dico che la mafia non esista, ma la mia esperienza diretta non la contempla, forse sapevano che io venivo da fuori e non ci provavano. Avevo venti anni, leggevo Kundera, amavo il cielo senza nuvole di Palermo"
Zdenek Zeman, intervista a 'la Repubblica' del 23 ottobre 2011

sabato 22 ottobre 2011

GLI 'ABBANNIATURI' DI PALERMO

"'Ncutti, 'ncutti l'haiu i vruòccoli" ( "sodi, sodi ce li ho i broccoli" ): è l'"abbanniata" di un giovane venditore ambulante a Palermo nel 1918, quando il reporter Ermanno Biagini pubblicò su un numero del mensile 'Le Vie d'Italia' un articolo intitolato 'Venditori ambulanti delle vie palermitane'. A distanza di quasi un secolo, di questi personaggi testimoni della vita popolare della città - una presenza strettamente legata ad un'economia agricola ed artigianale - non rimane quasi più traccia

Fotografie e descrizioni di venditori ambulanti che sino a qualche decennio fa affollavano i mercati palermitani abbondano: gran parte delle pubblicazioni dedicate alla Sicilia propongono immagini della Vucciria, del Capo o di Ballarò, con il loro immancabile contesto dei banchi ricolmi di generi alimentari o prodotti casalinghi; fra i tanti fotografi che si sono esercitati nel genere vi è stato anche Renato Guttuso, che prima di dipingere il suo coloratissimo mercato della Vucciria ne fissò su pellicola scorci e volti in bianco e nero.

Le fotografie di presentazione del reportage pubblicato da 'Le Vie d'Italia': accanto al titolo, la straordinaria espressione di un venditore di aglio, la cui "abbanniata" - le grida utilizzate per vendere la merce in strada - era "ci vonnu l'agghiu p'i vicini!" ( "ci vogliono gli agli per i vicini!" ). Spiega nel suo articolo Biagini: "siccome l'aglio si fa sentire con il suo odore penetrante e persistente, così occorre l'aglio per far sentire la nostra presenza ai vicini quando ne sia il caso!"

 Con il passare degli anni,  l’effetto di questo esercizio è diventato decisamente sempre più ‘folklorico’, visto che i mercati popolari palermitani faticano a sopravvivere e che gli ambulanti che vi sbarcano il lunario fanno sempre più parte di un patrimonio etno-antropologico del passato.

Altro personaggio della rassegna di vecchi venditori ambulanti a Palermo: il venditore di focacce, abile nel tenere in equilibrio sulla testa il contenitore che manteneva al caldo la sua specialità.
Notava Biagini che tra questi venditori ed i clienti "un soldo di differenza fra domanda ed offerta generava a volte discussioni interminabili. Ad un certo punto il rivenditore finge di andarsene, e drizza intanto gli orecchi, in attesa che "'a signura' o 'a cammarera' si decida a richiamarlo. Ma il più delle volte ciò non accade, ed è lui stesso che ritorna indietro, gridando verso il balcone che sta per chiudersi: "signura, sintissi ccà!", e l'affare è concluso, ormai. Ma il venditore, quasi per dimostrare il grande sacrificio a cui si è deciso, come se veramente ci rimettesse del suo, suggella la difficile vendita con un gran segno di croce, e mormora con un sospirone: "facemu come voli Dio!..."   


 Ho esitato a proporre su REPORTAGESICILIA un post dedicato al tema dei venditori dei mercati, ritenendo l’argomento a forte rischio di ripetizione; una valutazione venuta meno quando ho recuperato un vecchio numero delle rivista del TCI ‘Le Vie d’Italia’, datato luglio 1938. Il periodico pubblicò allora un reportage a firma di Ermanno Biagini, intitolato ‘Venditori ambulanti delle vie palermitane’; l’autore firmò anche numerose fotografie di ambulanti ritratti con i vari prodotti, non senza sottolineare che “la laografia locale annovera in questo campo centinaia di tipi ben definiti e distinti l’uno dall’altro che, dal levare dal sole fino al tramonto, non fanno che andare e venire per le vie della città, offrendo a gran voce le loro più svariate mercanzie”.

Accanto ad un fruttivendolo con il suo carretto, l'obiettivo del fotografo ci tramanda l'ormai scomparsa figura dello "scuparu", il venditore di scope. "Esso va in giro abitualmente al mattino, quando più occorrono per le case i suoi utensili, e grida, rimando: "scupi bella di curina! Quantu nn'è vvnniri stamatina!" ( "scope belle di curina! Quante ne devo vendere questa mattina!" )


 Biagini scoprì ai lettori del mensile del Touring l’arguto campionario di frasi gridate dagli ambulanti palermitani, fornendo a premessa della comprensione del loro modo di vendere il principio palermitano dell’”abbanniaturi”: “Robba abbiannata, menza vinnuta”, “merce gridata, mezza venduta”. “Questi instancabili venditori girovaghi – si legge nel reportage – non ristanno dal proclamare a gran voce le lodi più sperticate dei loro prodotti, usando gli aggettivi più pomposi, le metafore più ardite, i più salaci sottintesi.

Altra scomparsa presenza di venditore tra le vie palermitane: quello di pollame vivo.
Nel suo reportage, Biagini scriveva che "troppo ci vorrebbe a ricordarli tutti questi venditori ambulanti, che assommano ad oltre un centinaio di tipi veramente caratteristici. Consigliamo invece al turista di considerarli a uno a uno, perchè essi coistituiscono un aspetto del volto tradizionale, caldo e immaginoso del popolo siciliano"


Ognuno ha il suo verso tradizionale, il suo timbro di voce, il ritmo suo particolare: dalla lenta cantilena fino alle note più stridule e più acute, per tutta una gamma di inflessioni, di modulazioni, ora piane, ora alte, ora meste, ora allegre, ora lente e sospirose come un lamento, ora rapide e trillanti come agili motivi di stornelli”.

Il venditore di crivello, strumento da utilizzare per setacciare il grano. Il "crivaru", scrive Biagini, "reca a bandoliera un gran numero di stacci di ogni grandezza, gridando "ci voli u crivu! V'accattàtivi u crivu!" ( "ci vuole il crivello! Compratevi il crivello!" )


 Questa narrazione di Biagini – e la citazione degli slogan “abbanniati” allora degli instancabili venditori girovaghi, ritratti da fotografie in cui i visi offrono uno straordinario e immutabile repertorio di caratteri palermitani – mi è parsa preziosa; tanto più, perché il reportage documenta la presenza dell’”abbanniaturi” a Palermo alla vigilia delle devastazioni del secondo conflitto mondiale, al termine del quale la città avrebbe voltato le spalle al suo devastato centro storico.

Scatto in posa per un gruppo di venditori ambulanti di mele insieme a tre ragazzini.
 Il mestiere di venditore ambulante si tramandava di padre in figlio, con un naturale e precoce travaso di esperienza e di contatto quotidiano con la strada 


Si trattò di un periodo cruciale per la storia della società popolare urbana, in cui il ruolo degli ambulanti nei mercati popolari – legato ad attività agricole ed artigianali locali – andava inesorabilmente scomparendo. Con la sua scrittura, Ermanno Biagini ebbe il merito di registrare le loro voci, ricordandoci oggi le loro colorite espressioni: quella dei venditori di fichidindia, "Ficudinnia duci chi haiu! Veri di Calamigna!" ( "Che fichidindia dolci che ho! Sono autentici di Ventimiglia Sicula!" ), di agrumi, "D'a sciorta bella sù i lumìuna! Partualli e mannarini duci! Comu i fravuli sù!" ( "Della scelta migliore sono i limoni! Aranci e mandarini dolci! Come le fragole sono!" ), di semi salati, "Cù sali e senza sali l'haiu d'a nostra! Nuciddi e favi: càvura a' simenza!" ( "Col sale e senza sale ve la do nostrale! Nocciole e fave: calda è la semenza!" ), di lumache, "Tutti chi corna fora sù sti babbaluci! C'u pitrusineddu! C'u picchiu pacchiu!" ( "Tutte con le corna di fuori sono queste lumache! Con il prezzemolo! Con pomodoro e cipolla!" ), e di acqua e anice, "Acquaaaa! Ma chi è gilatu, cu lu zammù: chi l'haiu frisca!" ( "Acquaaaa! Ma cos'è, un gelato, con l'anice? Come è fresca!" ). 

Ancora oggi il pane palermitano - specie quello 'rimacinato', cui si aggiungono i semi di sesamo, detti "giuggiulena" -  è rinomato per gusto e freschezza; molti panifici lo preparano più volte nel corso delle 24 ore. "Per chi ami gustare il pane scuro, il pane campagnolo, in belle forme tonde, con sopra incisi i segni delle fette a spicchio - scrive Biagini - ecco qua il venditore di pane fatto in casa: "Pane ri casa bellu! Che duci u' pani ri casa!" ( "Pane di casa bello! Com'è dolce il pane di casa!" ) 


 Ancora qualche decennio dopo – tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta – Danilo Dolci avrebbe recuperato a Palermo le sparute voci di qualcuno fra gli ultimi “abbanniaturi”. “Voi sentirete come parla questa gente. Mentre al Nord gli operai e gli impiegati delle fabbriche sono sempre più astrattamente stereotipi – scriveva il sociologo di padre triestino e di madre slava – questa gente ha ancora toni genuini, parlano ancora uno per uno, tutti diversi: nelle loro tragiche voci”. 

Un'ultima fotografia dedicata agli "abbanniaturi" palermitani pubblicata da 'Le Vie d'Italia' nel luglio del 1938 e proposta da REPORTAGESICILIA: ritrae un'anziana tessitrice di stuoie all'esterno della sua bottega. Anche questa immagine tramanda il ricordo di un mestiere artigiano ormai quasi del tutto cancellato dalla produzione industriale: il degrado e lo spopolamento dei quartieri storici palermitani - che di lì a poco subiranno anche la devastazione delle bombe alleate - sono stati favoriti dal progressivo abbandono delle piccole attività manuali 
   


venerdì 7 ottobre 2011

MANIFESTI A GRAMMICHELE

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Tipica scena di anziani raccolti in un circolo - in questo caso l'Associazione Nazionale Reduci e Combattenti - di una piazza siciliana, quella catanese di Grammichele.
I manifesti elettorali della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista affisi sotto quello che pubblicizza l'Aqua Velva sovrastano avvisi funebri ed una locandina che annuncia una partita di calcio fra squadre di Promozione; la fotografia è opera di Italo Zannier ed è pubblicata sul volume 'Monti d'Italia' , Sicilia e Sardegna, ENI, 1975 

LA SICILIA DI PIERO GAULI

Fra i tanti modi di raccontare la Sicilia esiste anche lo strumento del disegno e della pittura. Da tempo pensavo di dedicare al blog qualche post che raccontasse l’isola non solo attraverso l’uso della fotografia; mi sembrava però che la rappresentazione pittorica o quella tratta dal segno di una matita meritassero una selezione che richiede capacità di valutazione estetica più sensibili rispetto alla proposta di un’immagine fotografica. Questo convincimento è venuto meno dinanzi alla pittura del milanese Piero Gauli. Naturalmente, sconoscevo assolutamente Gauli, sino a quando – durante la scoperta a Roma, in viale Mazzini, di una straordinaria libreria dell’usato ( un minuscolo locale di una stanza, con i libri impilati ed addossati alle pareti scandite dalla sequenza di mensole ordinate da un libraio gentilissimo, dall’accento appenninico-toscano ) -  l’occhio non si è fermato su un dorso con la dicitura ‘Taccuino di Sicilia’.

La copertina del catalogo dedicato alle opere siciliane del pittore milanese Piero Gauli, artista legato al movimento della 'Corrente'. 'Taccuino di Sicilia' venne pubblicato da Edizioni Ghelfi nel 1975, a Verona, in 1000 copie.
Nella prefazione, Ugo La Rosa scrive che "Piero Gauli ha trovato in Sicilia la natura che cercava e forse pure la sua compiutezza pittorica... mi pare che Gauli, l'uomo-artista, abbia trovato nell'isola siciliana la sua isola, dove lo spirito finalmente può riaccendersi, consolarsi, placarsi..."

Era un ‘libro-catalogo’ che riproduce 46 quadri siciliani di un artista che ho poi imparato essere uno degli ultimi rappresentati di un gruppo pittorico milanese; un movimento che – alla vigilia della seconda guerra mondiale – prese il nome di ‘Corrente’ e di cui fecero parte, fra gli altri, Badoli, Birilli, Broggini, Tassinari, Cerchi, Fontana, Lanaro, Migneco, Paganin, Sassu e Valenti. ‘Taccuino di Sicilia’, edito da Edizioni Ghelfi di Verona nell’aprile del 1975, non è altro che il prezioso catalogo di 46 olii-pastelli, acquerelli e tempere realizzate da Piero Gauli durante i suoi numerosi viaggi nell’isola, soprattutto tra la fine degli anni Sessanta ed il successivo decennio dello scorso secolo.

Cantiere a Sant'Elia, tempera, 1972 


Non ho il dono dell’analisi del critico d’arte; mi sembra però che la pittura di Gauli abbia colto quella soverchiante pienezza di colori che distingue il paesaggio siciliano nel Mediterraneo, e che è lo specchio del sostanziale ‘eccesso’ della natura e del carattere della vita in Sicilia.

Paesaggio verso Corleone, olio-pastello, 1972

Mare verso Mazara del Vallo, tempera, 1972

A dirla con le parole di Leonardo Sciascia, dall’insieme dei quadri e delle serigrafie di Gauli - del quale REPORTAGESICILIA offre una selezione -  “viene fuori una interpretazione della Sicilia ancora una volta in chiave panica, di una natura che esplode a sommergere l’opera dell’uomo e l’uomo stesso”; un giudizio cui Ugo La Rosa – autore della prefazione del catalogo – aggiunge questa notazione: “più spesso, Gauli sente la luce siciliana penetrare nelle architetture, cava espressione dalle pietre, dà forma col colore, segue la luce che fissa e disperde in sè la forma, mentre la sua felicità si dilata e ci coinvolge”.


Paesaggio dal castello di Caccamo, acquarello, 1973
La pittura di Gauli, insomma, mi pare che racconti quella certa eccitata gioia dell’essere in Sicilia, quasi come di un camminare in bilico sulla corda che separa il cielo luminosissimo delle sue meraviglie ed il baratro del suo insensato immobilismo.


Il piccolo porto a Siracusa, acquarello, 1973

San Sebastiano a Palazzolo Acreide
 
Villa Valguarnera, olio-pastello, 1972



   

giovedì 7 luglio 2011

SICILIA DI OGGI

Vicolo Madonna della Volta, nel quartiere palermitano di Ballarò.
Foto REPORTAGESICILIA

SICILIA DI IERI

Pigiatura dell'uva nelle campagne di Alcamo: il 'pistaturi' - il pigiatore - accanto al suo 'zubbio', il tino incavato al suolo contenente l'uva.
La fotografia - firmata PGS - è tratta dal volume 'Sicilia', collana 'le regioni d'Italia' edita nel 1974 da UTET Torino

SICILIANDO












"Non esiste una cultura siciliana, ma esiste una profonda sfumatura siciliana che arricchisce la vita del nostro paese e che dev'essere salvata e compresa da tutti"
Eugenio Montale, 'Il Mondo', 7 luglio 1945

MEMORIA DI SALAPARUTA

Gruppo di amici in posa sullo sfondo di un castello e di una chiesa del paese: la fotografia è stata scattata nel 1936 a Salaparuta, uno dei centri della valle del Belìce distrutti dal terremoto nel gennaio 1968. Di entrambi gli storici edifici non rimangono oggi che pochi ruderi. REPORTAGESICILIA posta alcuni scatti inediti realizzati nel centro trapanese fra il 1936 ed il 1964

Ricordo a stento quel terremoto: era la notte fra il 15 ed il 16 gennaio del 1968, ed a Palermo le scosse fecero svegliare e riversare in strada centinaia di migliaia di persone.
Ciò che non ho dimenticato sono i lunghi cortei di automobili, cariche di famiglie, di thermos e di coperte e di oggetti portati via da casa, più per timore dei furti che delle conseguenza del sisma. In via Leonardo da Vinci ed in viale Michelangelo – che allora conservavano ancora qualche area libera dai palazzi tirati su dall'edilizia mafiosa – si formarono dei piccoli accampamenti di persone, raccolte intorno ad improvvisati fuochi.
Nessuno – negli anni  in cui non esistevano né i telefoni cellulari né internet – ebbe percezione che quelle scosse, nelle vicine province di Trapani e di Agrigento, avessero provocato una catastrofe: quello che d’ora in poi sarebbe stato indicato come il terremoto del Belìce.

Un gruppo di sette amici si fa ritrarre sul ciglio di una strada, accanto a quello che forse era un'edicola votiva; sulla scena appare anche un asino accompagnato da un uomo, con le ceste cariche forse del frutto di una giornata di lavoro in campagna. Sullo sfondo, si intravede Salaparuta: una composizione fotografica realizzata da Angelo Oliva e che racconta, in un perfetto equilibrio narrativo, una giornata di vita e cultura agreste nel Belìce del 1936

In quella notte palermitana di bivacchi, furono rase al suolo Montevago, Gibellina e Salaparuta; gravi i danni a Santa Ninfa, Santa Margherita Belìce, Poggioreale, Partanna e Menfi; le vittime furono 232, i feriti 623, 40.000 i senza tetto. Alla devastazione ed ai lutti, come scrisse Vittorio Nisticò in ‘Accadeva in Sicilia, gli anni ruggenti dell’”Ora” di Palermo’, si aggiunsero le “vastissime aree di territorio agricolo all’improvviso paralizzate e svuotate di tante giovani energie che si affrettano a riprendere le vie dell’emigrazione”.

Il corso principale di Salaparuta, in una fotografia realizzata da Angelo Oliva nel 1964. Quattro anni dopo, l'intero centro agricolo trapanese venne completamente devastato dal terremoto
Soltanto il giorno dopo, avuta notizia che il suo paese era ridotto ad un ammasso di macerie, mio padre partì per Salaparuta: un viaggio con la pena e con l’ansia nel cuore, aumentate di minuto in minuto dalle numerose deviazioni stradali, causate dall’inagibilità della strada provinciale che dalla SS113 conduceva ai centri del Belìce. Al suo ritorno a Palermo, aveva ancora negli occhi lo sfacelo della casa dei miei nonni, dove avevo avuto il tempo di trascorre un paio di estati: pochi giorni in tutto, dei quali conservo il ricordo di una cucina rustica ma luminosa, con le graste piene di mandorle e le bottiglie di vetro pronte ad accogliere il loro favoloso latte.

Sopra e sotto, due immagini della Chiesa Madre di Salaparuta, in stile barocco ed a tre navate.
Della struttura non rimangono oggi che pochi resti. Sulla sua scenografica scalinata si svolgeva parte della vita sociale del paese, e non erano infrequenti le fotografie di gruppo in occasione dei matrimoni o di altri eventi religiosi che coinvolgevano l'intea comunità salitana
Partendo da quei fatti personali – e dal recupero di alcune vecchie fotografie realizzate da mio padre in paese negli anni precedenti alla sua distruzione – REPORTAGESICILIA offre alcune immagini inedite di Salaparuta.

Per una volta, il recupero di queste immagini non offre la possibilità di una comparazione con luoghi e paesaggi della Sicilia di oggi.


Amarcord di un calcio di altri tempi a Salaparuta: è il settembre del 1935, ed i giocatori di pallone si apprestano a calcare un terreno di gioco fatto più di pietre che di terra

Volti di persone e scorci di luoghi scomparsi raccontano semplicemente un pezzo di ambiente dell’isola persi per sempre; senza che il Belìce – nel frattempo, 43 anni dopo – abbia trovato occasione di un vero rilancio della sua storia.

Sopra e sotto, le ultime due immagini di Salaparuta di Angelo Oliva  proposte da REPORTAGESICILIA in questo post.
Il paesaggio in chiaroscuro del paese, nella sua scarsa nitidezza, sembra fissare nel 1936 la precaria memoria di un paese che il terremoto del 1968 ha completamente cancellato; nell'ottobre del 1963, una anziana donna e due bambine passeggiano in via Roccaforte, in una immagine di vita quotidiana che racconta oggi un pezzo di storia belicina sconvolta dal sisma