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venerdì 30 maggio 2008

SEGESTA, IL SILENZIO DI MORAVIA





"Il sole, quella mattina, sulla strada che menava a Segesta, nonostante la bella luce primaverile e il verde lustro delle colline, aveva una sua intensità che faceva già presentire l'estate. Ancora un paio di mesi, pensavo, e le rocce cinerine che si nascondono sotto l'erba folta di questi poggi saranno messe a nudo su per le coste gialle e brulle e splenderanno arroventate, la vampa del solleone vibrerà immobilmente nel cielo infuocato e, rintanati gli uomini nelle case, azzittiti gli uccelli dentro il poco fogliame dei rari alberi, le sole creature viventi a cui sarà possibile di vivere senza sofferenza in quest'arsura della canicola, anzi che ne trarranno vigore ed ardimento, saranno i ramarri giganteschi che fanno fremere le siepi al loro passaggio e guizzano sui sassi con l'ombra sotto la pancia, le cicale infaticabili stordite dal loro stesso clamore, e le serpi che attratte dal calore si intontiscono sull'asfalto scottante delle strade e non ci vuole meno di un carro o di una macchina per farle scivolare via, simili a neri rivoletti di bitume, dentro i rovi polverosi nei fossati".
Una prosa abbacinante di parole e di immagini, quella che Alberto Moravia utilizzò per scrivere un reportage tra le deserte colline di Segesta, ad ammirare le pietre del tempio e del teatro della scomparsa città elima.
Lo scrittore romano pubblicò le sue impressioni nel gennaio del 1960, sulla rivista 'Le vie d'Italia' del TCI; ed è quindi lecito supporre che quel resoconto fosse relativo ad un viaggio siciliano compiuto la primavera precedente, nel 1959.
Sembra, nel racconto di Moravia, che il paesaggio di queste colline trapanesi sia un contesto imprescindibile nella genesi stessa delle sue antiche pietre; e che i resti imponenti e perfetti del tempio e del teatro siano ancora lì perchè elementi della natura e non dell'ingegno e della fatica dell'uomo.
La sorpresa del visitatore rivela questa impressione: "fatto il giro di una collina, in cima a questa, a ridosso di un monte più alto, ci apparve il tempio, intatto, fulvo, fra tutto quel verde, solitario in quella solitudine, con le colonne, il frontone e l'aspetto sereno di una vita immemorabile, meraviglioso a vedersi perchè tanto semplice ed inaspettato" .
Per meglio godere di quel sottile equilibrio fra natura e manufatto umano, Moravia non esita a cercare una silenziosa contemplazione, isolandosi dalla compagnia dei suoi accompagnatori: "avevo lasciato apposta indietro i miei compagni di viaggio, pur così simpatici, per non udire le loro esclamazioni 'bello! ah, come è bello! guarda com'è bello!', e starmene un poco tutto solo. La solitudine silenziosa era densa di vita naturale, io ci penetravo a testa bassa come per un foro, con le orecchie assordate e la pelle destata ed eccitata; e la fatica della salita confermava questa strana illusione. Ascesi così con gli occhi rivolti a terra e il sangue invaso da un fitto benessere che mi pareva emanare dal luogo; finalmente levai gli sguardi e mi accorsi allora che ero sotto il tempio."
Ancor oggi, un reportage nel paesaggio di Segesta regala le stesse sensazioni descritte da Moravia, regalando le ultime immagini di una Sicilia non completamente stravolta da uno 'sviluppo turistico' che spesso finisce con l'alterare quel raro e prezioso equilibrio fra bellezza naturale e bene architettonico.
( foto, dall'alto in basso, di Leonard von Matt, Pubblifoto, Stefani e Leonard von Matt )

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